E’ morto Nanni Balestrini..
L’ultima volta che ci siamo incontrati – sono trascorsi pochi mesi – non ricordo perché giungemmo a parlare della vecchiaia e della morte. “Io ci penso spesso”, dissi. “Io cerco di non pensarci”, mi rispose Nanni. Era ammalato, ma io non lo sapevo. Adesso capisco meglio il senso delle sue parole. Ha fatto in tempo a inviarmi copia del suo archivio, ricco di notizie, e un esemplare di L’esplosione, il suo ultimo libro di poesie, di cui mi aveva già parlato.
Balestrini era nato a Milano nel 1935. Luciano Anceschi, maestro di poeti e di molti giovani intellettuali, milanese come lui, e di cui fu allievo, lo aveva particolarmente caro. Balestrini, quando Anceschi fondò nel 1956 la rivista di letteratura “il verri”, ne fu il primo redattore e la colonna intellettuale e organizzativa. Perché, fra molte altre cose, questo era particolare di Balestrini, e costituiva, per certi aspetti, un fatto non comune, segnatamente nella cultura italiana: Balestrini era un poeta, uno dei migliori dell’Italia moderna, ma era, al tempo stesso, un bravissimo organizzatore culturale. Il suo primo libro di poesia, Il sasso appeso, apparve a Milano presso Scheiwiller nel 1961, seguìto nel 1963 da Come si agisce, uscito da Feltrinelli e comprendente il volumetto iniziale.
Ricordo ancora l’ emozione che mi provocò la prima lettura di quel libro, che, dopo la comparsa altrettanto emozionante, nel 1956, di Laborintus di Edoardo Sanguineti, manifestava con singolare energia la nascita di un linguaggio nuovo e sorprendente:
l’avidità dei polpastrelli, gli interstizi e le attive stagioni
ma ordinando quelli che abbiamo sempre conosciuto
tutti coperti gli alberi non appena lentamente muovendo la sua mano
il buon cervello smette con essa toccò spessa
pesante la neve brucia
fino in fondo la lampada pesante
Ma il 1961 è soprattutto l’anno della nascita di un evento davvero epocale: cinque poeti italiani, assai diversi l’uno dall’altro, ma concordi nella volontà di uscire dagli schemi culturali più strettamente vincolati a una tradizione ormai inerte, si associarono e costituirono un “gruppo”, il gruppo dei “Novissimi”. La denominazione, da intendere latinamente, non indicava “i poeti più nuovi”, bensì la “possibile novità ultima” storicamente offerta alla poesia, ossia l’estrema possibilità di lasciarsi finalmente alle spalle il lirismo tradizionale, legato a una soggettività ormai logora, aprendosi alla storia e alla ricchezza di una cultura nuova e molteplice. I “Novissimi” si chiamavano Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Antonio Porta. Giuliani raccolse in una antologia intitolata appunti I Novissimi i risultati più stimolanti e persuasivi del lavoro compiuto per la poesia da lui e dai suoi compagni. Il libro fu pubblicato a Milano nel 1961 da Rusconi e Paolazzi nella “Biblioteca del Verri” diretta da Luciano Anceschi. Ebbe uno straordinario successo, tanto è vero che Giulio Einaudi negli anni successivi ne fece diverse edizioni, confermando così che la strada intrapresa dai Novissimi era la sola che potesse portare a un reale rinnovamento della poesia italiana. Tradotti in lingua inglese e in lingua francese, oggi i Novissimi, oltre che in Francia, si leggono anche negli Stati Uniti.
Quasi che il successo dei Novissimi gli avesse infuso nuovo sangue e dato nuova forza, Balestrini nel 1968, sempre presso Feltrinelli, pubblicò Ma noi facciamone un’altra, un libro che tornava a manifestare nel modo più netto la forza e la bellezza della sua poesia. Che mostra come la sobrietà delle strutture e del lessico, e persino lo strumento della ripetizione, possano raggiungere non comuni effetti comunicativi.
Dar conto in modo preciso di tutto il lavoro di Balestrini sarebbe impossibile in questa sede. Basti ora dire, senza dimenticare altri libri di poesia, come, per esempio, quelli dedicati alla Signorina Richmond, che la sua operosità non ha trascurato la narrativa, nella quale l’eccezionalità dell’invenzione si coglie soprattutto nel romanzo Tristano (1966); e che con la produzione niente affatto secondaria, scandita negli anni, di molti collages, Balestrin è stato anche uno dei più fertili e notevoli autori che abbiano operato nel settore delle arti visive. Si veda, al riguardo, il volume Con gli occhi del linguaggio (DeriveApprodi 2006), che raccoglie una parte cospicua della sua realizzazione di collages e di opere visive.
Alcuni degli aspetti che hanno caratterizzato il lavoro di Balestrini, visto nella sua interezza, sono stati la tenacia della sperimentazione incessante e la sorprendente durata del vigore immaginativo. Ancora nel 2010, quando è uscito Caosmogonia, una delle sue opere più belle, quel vigore appariva intatto, con in più una capacità di riflessione, di ricapitolazione e di previsione, e quasi di profezia, che lasciava quasi attonito il lettore:
…il nulla è in tutte le cose quindi è anche in me…
…quello che ho perso scompare totalmente
penso che si perda e basta…
…esistiamo per un istante //
il tempo di strizzare gli occhi /
per poi essere spazzati via come mosche…
la sensazione di essere mortale /
anima la vita /
ottimista senza speranza…
…sarebbe stato un inizio una rivoluzione /
però era troppo tardi era già tutto finito…
Impossibile infine non ricordare l’importanza veramente fondamentale dell’attività di Balestrini come organizzatore di eventi culturali. Oltre al lavoro fatto per molti anni per “il verri”, si deve tener conto che è stato Balestrini a inventare e fondare il Gruppo 63, che, sia pure per un periodo relativamente breve, e in modi inconsueti, ha vivificato la cultura italiana; è stato Balestrini che, insieme con Alfredo Giuliani, ha fondato e diretto la vivacissima rivista politico-culturale “Quindici”; è stato Balestrini che, in compagnia di altri letterati, ha dato vita alla rivista “Alfabeta”.