Intervista a Veronica Raimo su Miden
Nel suo terzo romanzo, Miden, (Mondadori, 2018) Veronica Raimo immagina una comunità-nazione costruita e amministrata per essere un modello perfetto di progressismo, giustizia, equità e razionalismo: un’oasi felice di cittadinanza attiva dove nessuno è indigente o emarginato e tutti – almeno in teoria – hanno a cuore il bene comune. I due protagonisti, chiamati solo il compagno e la compagna, sono una coppia che si è trasferita a Miden con l’intenzione di lasciare per sempre il proprio paese d’origine, devastato come il resto del mondo da una gravissima crisi economica. Lui è un professore di filosofia, lei un’aspirante scrittrice che si trova per la prima volta a portare avanti una gravidanza. Questo ideale quadretto romantico è immediatamente messo in crisi dall’entrata in scena di una ex studentessa del compagno, che ha avuto per qualche tempo con lui una relazione all’insaputa della compagna, e, dopo due anni, l’ha reinterpretata come abuso sessuale.
D: Il romanzo si apre con una epigrafe da Tempo d’estate di Coetzee: “Va’ a casa e pratica l’arte della conquista, – dissi. – Vattene. Portati via il tuo Schubert e torna quando saprai fare qualcosa di meglio”. Quando ho iniziato Miden sapevo già qualcosa della trama, e questa citazione mi è rimasta in mente fino all’ultima pagina. C’è qualcosa in particolare che lega il tuo romanzo a Coetzee?
R: Coetzee ha avuto un’influenza da vari punti di vista, non tanto Vergogna come potrebbe far presupporre la trama, ma più Tempo d’estate per il tipo di struttura e l’idea che un personaggio potesse essere raccontato attraverso varie testimonianze, e L’infanzia di Gesù per il tipo di ambientazione, un luogo da cui sembra essere stato rescisso il passato.
D: Hai più volte chiarito di avere iniziato Miden quattro anni fa e di averlo finito ben prima che nascesse il movimento #MeToo. La vicenda è ispirata alla storia di un tuo amico, che suppongo insegni – o insegnasse – in una qualche università di una socialdemocrazia nordeuropea. Miden sembra per certi versi una estremizzazione di quel contesto, o meglio di quel contesto socioculturale visto da un osservatore esterno. Apparentemente è una società ideale, ma avendo letto i tuoi precedenti romanzi sospetto che tu provi sentimenti ambivalenti e che non ci abiteresti affatto. Mi sbaglio?
R: Sì, esatto, direi che l’ambivalenza è il sentimento dominante, per cui il senso di attrattiva e repulsione sono miscelati. Credo che spesso – almeno parlo per me – nutriamo nei confronti dei luoghi un tipo di ambivalenza mai davvero risolta, e anzi ogni volta che proviamo a risolverla ci rendiamo conto che stiamo mettendo in scena una specie di autoconvincimento. Le stesse ragioni che ci attirano sono quelle che ci faranno sentire estranei.
D: Leggendo oggi Miden non possiamo comunque – credo – fare a meno di essere influenzati dal contesto che si è creato a partire dal caso Weinstein, e penso che questo renda particolarmente interessanti alcune tue scelte, come quella di non far raccontare direttamente dalla vittima le presunte violenze. Siamo portati ad approfondire minimi dettagli della vita privata e della personalità dell’accusato attraverso i suoi monologhi, quelli della compagna, e le testimonianze di loro conoscenti, ma non è mai reso esplicito cosa concretamente abbia determinato la violenza sessuale: la differenza di età (anche se la studentessa era maggiorenne), la differenza di ruolo e quindi di potere, le pratiche sessuali “estreme” (estreme per lo standard ufficiale di Miden, che prevede un sesso “accogliente”)? La comunità di Miden è costretta a bollare come stupri dei rapporti vissuti – sia dalla studentessa che dal professore – come consenzienti al momento dell’atto, oppure a negare la validità del trauma di lei, il suo sincero dolore (“La Violenza è questa specie di palla che le rimbalzo addosso e lei non si scansa, però quasi due anni dopo si rende conto che è piena di lividi. E prima dov’erano i lividi? Prima lei non lo sapeva che poteva anche scansarsi”). Come ti sei posta di fronte al fatto che lo squilibrio di età o di potere (livello di istruzione, grado di ricchezza, posizione sociale, forza fisica, ecc.), vissuto da una parte e dall’altra, è uno dei motivi per cui molte persone si innamorano e si eccitano, non solo a Miden ma praticamente ovunque e da sempre – anche nei tuoi romanzi?
R: Credo che quello che chiami contesto, ossia una rilettura di Miden post-MeToo, in realtà influenzi intenzioni che nel libro non c’erano. Scrivere un libro è una cosa molto diversa dall’affrontare il tema della violenza di genere nella realtà o nelle sedi giudiziarie. Non è un caso che il processo intentato contro il professore, ossia il presunto violentatore, o “Perpetratore” come viene definito nel romanzo, sia un processo che segue dinamiche molto più letterarie e speculative rispetto a quello che potrebbe avvenire in un’aula di tribunale. A me quello che interessava era proprio risalire alla matrice di questo desiderio, capirne i condizionamenti, quelli che chiami “i motivi per cui molte persone si innamorano e si eccitano”, e ipotizzare da qui una società in cui sia possibile riformulare l’estensione del consenso, riscriverne retroattivamente la natura. Ma io non mi sento una cittadina di Miden, anzi quello che ho tentato di fare è proprio provare a sondare l’ambiguità di un ideale in cui si aspira a risolvere i conflitti innescati dal desiderio attraverso una categoria come quella di “sesso accogliente”.
D: Prima ho accennato alle tue opere precedenti: in Tutte le feste di domani (Rizzoli, 2013) Alberta è una studentessa squattrinata che s’innamora di un suo insegnante, di famiglia alto-borghese, e lo sposa. Quando una vera sproporzione di potere non esiste va a finire che i personaggi la creano, la simulano come gioco sessuale: ne Il dolore secondo Matteo (Minimum fax, 2007) Claudia fa di tutto per convincere il protagonista a instaurare un rapporto di dominazione e sottomissione in pieno stile BDSM, e Filippo racconta di quando a Berlino leccava le suole di amanti travestiti da ufficiali nazisti. In Miden anche la compagna del professore, prima di sapere della relazione con la studentessa, giocava a mettersi nella stessa posizione: “‘Allora, cosa si intende per noumeno?’ mi domandava, io lo guardavo simulando il vuoto totale, e lui faceva la parte del professore severo e pervertito. Mi dava gli schiaffi sul culo, mi metteva in punizione. Mi sodomizzava con qualche oggetto pseudodidattico. Lo so, quando uno lo racconta, sembra ridicolo eccitarsi con questa roba, però funziona”. Il sesso che a Miden traumatizza la studentessa e finisce sotto accusa è lo stesso che compare anche nei tuoi romanzi precedenti, con la differenza che Alberta, Filippo e Claudia non lo reinterpretano come violenza? Ti sei domandata, scrivendo, in che misura fosse la sensibilità del personaggio o il contesto sociale a spostare in una direzione o nell’altra un confine così importante?
R: Diciamo che il punto per me è un altro. Non credo che esistano certificazioni scientifiche su ciò che qualcuno può percepire come violenza, e però nel momento in cui avviene questa percezione, credo che la cosa più sensata sia rapportarsi a questa evidenza. Non esiste un codice del dolore universale, ciò che viviamo come abuso varia tra i soggetti. Ho l’impressione che esistano due retoriche speculari: da un lato la tendenza a trasformare qualsiasi forma di disagio in un trauma clinico, dall’altro la tendenza a minimizzare qualsiasi trauma come se si volesse sindacare sul grado di sofferenza altrui. Non mi piace nessuna delle due retoriche, quindi sì, volendo si può dire che ciò che finisce sotto accusa è lo stesso tipo di sesso, ma probabilmente il sesso in generale.
D: Credo che il libro evidenzi bene i limiti di queste retoriche. Le istituzioni di Miden e le persone chiamate a testimoniare sul caso si trovano – o si mettono – nella posizione di dover validare la sofferenza della studentessa, in un certo senso di stabilire se questo elemento che è inevitabilmente soggettivo debba essere ignorato e delegittimato, oppure riconosciuto come prova sufficiente di una colpa altrui. Non solo le istituzioni e i testimoni, ma buona parte della comunità di Miden sente il bisogno di schierarsi pubblicamente, di esprimere un giudizio attraverso slogan e manifestazioni. Desiderio subito assecondato e sfruttato sul piano del marketing: vengono vendute magliette con la scritta “Siamo tutti Perpetratori”, altre con la scritta “Siamo tutti Subenti”, fino all’ironia surreale di “Siamo tutti sedie”. Nel descrivere questa dinamica sociale e la forma – il linguaggio – che assume nel contesto distopico di Miden, avevi in mente esempi reali?
R: Be’ sì, la formula è un po’ mutuata dal “Je suis Charlie” e da questo tentativo di abbracciare un’altra identità come forma di sostegno, il che mi sembra non solo riduttivo, ma pericoloso. I social hanno amplificato questa comunicazione sloganistica, in qualche modo dispensandoci individualmente da un impegno reale quando bastava aderire formalmente a un messaggio e veicolarlo. Nel libro ho cercato di trasformare questo fenomeno in una sorta di iper-parodia.
D: Dopo avere perso in 7 anni il 16% del proprio fatturato, l’editoria italiana ha registrato nel 2017 qualche timido segnale di ripresa
(cfr. Associazione Italiana Editori, Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2017. Documento di sintesi: http://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda105-4025-2017.10.11/Rapporto%202017_La%20Sintesi.pdf).
Pensi che ci sarà ancora in Italia un pubblico di lettori tra dieci, venti o trent’anni, oppure la professione di scrittore è destinata a scomparire del tutto?
R: Tendenzialmente sono catastrofista solo sulle cose che riguardano la mia vita personale, non sulle questioni universali, anzi ogni volta che sento predizioni apocalittiche sul futuro o sulle generazioni che verranno mi sembrano forme reazionarie, una specie di autolegittimazione a sentirci gli ultimi eredi di qualche passato splendore. Quindi direi che sì, mi aspetto che ci saranno ancora lettori, ci saranno ancora libri e ci saranno storie in tutte le loro possibili forme, anche forme che adesso non sappiamo immaginare.
D: Stai lavorando ad altri romanzi dopo Miden?
R: No, e non sono nemmeno sicura di voler scrivere esattamente un romanzo.
intervista realizzata da Claudio Selva