PIZZA: PATRIMONIO CULTURALE

 

 

Alimento noto fin dall’antichità passato da piatto povero al più ambito a livello internazionale fino ad entrare nel patrimonio culturale dell’UNESCO come simbolo dell’eccellenza italiana.

 

I primordi di questo alimento, seppure non proprio come viene inteso attualmente, erano certamente già noti all’epoca degli Antichi Egizi, Greci e Romani, ma pare che risalgano addirittura al Neolitico. Le prime testimonianze scritte della parola “pizza”, in latino volgare, sono presenti nel Codex Cajetanus di Gaeta del 997 d. C. (oggi conservato nell’archivio del Duomo della città di Gaeta), ma l’etimologia del termine non è chiara, anzi confusa ed esistono diverse ipotesi al riguardo.

 

La tradizione vuole che la pizza nasca a Napoli (datazione incerta, forse tra il XVII-XVIII secolo) nei sobborghi della città come piatto povero.

La pietanza originaria presenta una forma tonda con la pasta morbida e dai bordi alti (crosta) la cui base è costituita da un impasto di farina, acqua, olio, sale e lievito (naturale o di birra), senza alcun tipo di grasso; che successivamente viene steso a disco e la cui cottura avviene tramite il forno a legna ed in nessun altro modo.

La pizza classica o napoletana presenta due tipologie di condimento. La prima è con mozzarella, pomodoro, origano ed olio extravergine d’oliva messo a crudo sopra. La seconda è con pomodoro, mozzarella di bufala o fior di latte, basilico ed olio extravergine d’oliva. È curioso constatare che quest’ultimo tipo di pizza presenti gli stessi colori della bandiera italiana quasi a premonizione del suo successo planetario e rappresentativo dell’Italia nel mondo e che risulti inoltre la variante più famosa.

 

Una leggenda narra che nel 1889 i sovrani Umberto I e Margherita di Savoia andarono a Napoli. La regina incuriosita da questo alimento di cui aveva sentito parlare lo volle assaggiare ed in particolare volle mangiare la pizza preparata dal celebre cuoco Raffaele Esposito. Allora questi cucinò più tipi di pizza ma la preferita della sovrana fu la seconda tipologia precedentemente descritta e cioè quella con pomodoro, mozzarella, olio e basilico. Per questo motivo oggigiorno questa variante viene quasi sempre chiamata Margherita.

 

Tra una regione italiana e l’altra i condimenti, talune peculiarità dell’impasto ed i nomi possono variare.

 

Oggi la pizza napoletana è uno dei piatti più diffusi al mondo ed è presente in quasi tutti i ristoranti e locali di cucina italiana all’estero con il nome pizza napoletana o pizza Napoli.

 

È interessante notare, però, che la lavorazione e gli ingredienti della pizza napoletana artigianale sono stati stabiliti dalla norma UNI 10791:98 e predisposti dall’Associazione Verace Pizza Napoletanache dal 1984 promuove la conoscenza della verace pizza napoletana artigianale ed è la promotrice della norma UNI 10791:98 e del disciplinare della Pizza Napoletana S.T.G. prodotta secondo la vera tradizione napoletana. Inoltre la pizza napoletana ed in particolare la variante “Margherita” è l’unico tipo di pizza italiana riconosciuto in ambito sia nazionale che europeo tant’è che dal 4 febbraio 2010 è stata ufficialmente riconosciuta come una specialità tradizionale garantita dalla Comunità Europea.

 

All’estero la diffusione della pizza, dovuta agli emigrati italiani ed all’imitazione nella cinematografia, è ormai planetaria anche se frequentemente è un prodotto più grasso e di produzione industriale e per questo non presenta le peculiarità di genuinità e semplicità tipiche della specialità tradizionale.

Certo è che la pizza italiana, più o meno attinente alla tradizione, si sta ormai diffondendo ovunque anche in luoghi impensati dove fino a poco tempo fa non era assolutamente conosciuta.

Infine il 9 dicembre 2017, dopo anni di attesa, la pizza napoletana, insieme all’Arte del pizzaiolo napoletano, custode dei segreti culinari e culturali di questa squisita specialità gastronomica sono entrati a far parte del Patrimonio Culturale Intangibile dell’Umanità. Più precisamente il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco ha nella sua conclusione finale dichiarato: “il know-howculinariolegato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiuolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale“.

Due giorni prima di questa dichiarazione, quando il dodicesimo Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale si era riunito sull’isola di Jeju, in Corea del Sud e stava valutando la candidatura italiana, ma già si ventilava l’esito positivo, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina esultando ha postato su Twitter la frase: “Vittoria! Identità enogastronomica italiana sempre più tutelata nel mondo”.

Bisogna essere felici che questo “appetitoso” simbolo dell’identità nazionale italiana abbia ottenuto la giusta valorizzazione.

 

Giulia Cesarini Argiroffo


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