A distanza di qualche settimana dalla sua conclusione, posso tentare un qualche bilancio del Roma Tre Film Festival, edizione 2018, la tredicesima.
Si tratta di un piccolo festival, che però mi pare capace di aggregare talenti, formare personalità, e produrre ancora emozioni sul cinema.
È nato da un quindicennio per una scommessa culturale, quella di valorizzare la cultura filmica dell’università e in particolare di una università giovane come Roma Tre. Prima lo abbiamo pensato come “Carta bianca Dams” all’interno del Festival romano “Arcipelago” (un festival benemerito, diretto da Stefano Martina, che quest’anno rischia di sparire), per valorizzare i cortometraggi degli studenti e stimolare le idee produttive in una accademia più interessata alla storia e alla teoria che alla produzione. Poi ne abbiamo fatto un evento autonomo, anche grazie agli spazi offerti da Roma Tre, su tutti il teatro Palladium, storica location cinematografica, ex sala cinematografica della Garbatella, ex sala ballo, un luogo che ha rischiato di diventare un “bingo” prima di essere adottato dall’università. Da lì un lungo percorso, con budget bassissimi ma una location prestigiosa, che ha portato al festival cineasti di varie generazioni, Maestri prestigiosi e giovani filmmakers, da Lizzani a Taviani, da Bellocchio a Scola, ma anche da Crialese a Mainetti, da Munzi a Genovese, da Delbono a De Angelis.
Sono orgoglioso di aver ideato e diretto in questi anni – anche con l’aiuto di giovani collaboratori – questo festival che sta crescendo nella percezione del pubblico e degli addetti ai lavori. La manifestazione si è gradualmente evoluta e ha conquistato ormai da tredici anni un proprio spazio; da evento destinato agli studenti si è trasformato in un laboratorio aperto a giovani professionisti provenienti dai Dams italiani o dalle scuole di cinema, ma anche ad autori di varie generazioni. Negli anni il Festival ha monitorato l’immaginario di una “nuova onda” del cinema italiano, ha seguito l’irruzione del digitale, ha tastato il polso di un “cinema espanso”, di una immagine in movimento che attraverso numerose contaminazioni ritrova la propria vitalità.
Ed anche in questa tredicesima edizione appena finita il Roma Tre Film Festival si è proposto come punto di incontro di appassionati di cinema attraverso proiezioni, anteprime e dibattiti alla presenza di studiosi nazionali ed europei, addetti ai lavori, operatori del settore e studenti delle discipline audiovisive.
Michele Placido, Dario Argento, Giuliano Montaldo, Marco Bellocchio, Paolo Taviani, presenti a incontrare il pubblico di studenti che è accorso numeroso: bastano questi nomi a rendere gli appuntamenti del RM3FF avvincenti. E poi registi apprezzati anche se meno famosi come Claudio Sestieri (autore di un raffinato Seguimi, alla cui produzione ha collaborato l’università), Wilma Labate, prolifica autrice di documentari e film di finzione, o un’altra cineasta donna (il tema del gender mi sta a cuore), Giovanna Taviani, nel doppio ruolo di apprezzata documentarista e di figlia di Vittorio, il grande regista appena scomparso cui il festival ha dedicato una serie di omaggi. Tutti nomi importanti del cinema italiano. Per non parlare della nuova generazione emergente tra documentario e fiction come Luca Bellino (autore con Silvia Luzzi dell’intenso Il cratere), Marco Bertozzi (eclettico docente universitario e regista, che firma l’intrigante Grattacielo) ed Emiliano Aiello, altro filmmaker multitasking che ha mostrato lo sperimentale Il sogno di Omero.
L’ambizione del RM3FF è quella di coniugare il bagno di folla (emozionante vedere la sala piena per Dario Argento o per omaggiare Vittorio Taviani) con il pubblico selezionato per un convegno: ad esempio la tavola rotonda di apertura, curata da Giacomo Martini – storico operatore culturale del cinema – e dedicata a Paolini e il ’68; con la partecipazione, tra gli altri, di Giacomo Marramao, Enrico Menduni, Stefania Parigi, Simone Isola, Paola Dalla Torre.
Ecco, il ’68. È stato uno dei fili rossi del festival, a cinquanta anni dal maggio francese. Omaggiato con la proiezione de Il grande sogno di Placido, con A pugni chiusi di Pierpaolo De Sanctis dedicato a Lou Castel (storico protagonista de I pugni in tasca), con Sacco e Vanzetti di Montado, cui è stato dedicato un bel documentario (di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri), con Nel nome del padre di Marco Bellocchio, icona del ’68 cinematografico.Ma anche con la straordinaria proiezione di C’era una volta il west di Leone, film del ’68 ma in qualche modo anche espressione del ’68, che il festival ha mostrato nell’edizione restaurata, in pellicola, cinemascope, fornita dalla Cineteca Nazionale. Ospite d’onore Dario Argento, soggettista del film, che la platea ha accolto con una prevedibile standing ovation.
È stata un’occasione di “cinema- vintage”, in cui il pubblico dei più giovani ha potuto vedere il film di Leone in 35 millimetri, un oggetto misterioso ormai scomparso non solo dalle aule universitarie ma anche dalle sale cinematografiche. È dovere del RM3FF dedicare anche al vecchio Cinema una particolare attenzione, non solo nostalgica.
Omaggio al ’68, cinema vintage, master classes dei Maestri, attenzione al giovane cinema e a quello “fuori norma”. Ma non basta: il festival ha dato spazio ai giovanissimi, con le appassionate proiezioni e poi con la premiazione dei vincitori del Concorso “Carta Bianca DAMS” e l’assegnazione del premio del pubblico. Ha valorizzato lo spazio conferenze, con una attesissima lezione di Patrizia Genovesi sulla fotografia di Sergio Leone (legata alla proiezione di C’era una volta il west), ha posto al centro delle sue attenzioni gli studenti, anche quelli delle medie superiori che devono essere educati all’immagine: meritoria la faticosa opera di Andrea Rabbito che è andato nei licei a fare delle lezioni su Bellocchio e sui Taviani (tra l’altro la sua università, la “Kore” di Enna, è alleata del RM3FF e ne sponsorizza le iniziative), stimolando l’interesse di una gioventù spesso distratta e appiattita sui social e sui cellulari.
Questo pubblico di liceali, di studenti universitari, di cinefili, di aficionados del Palladium, ha potuto ascoltare appassionati dibattiti: per esempio i discorsi sull’eredità del ’68, oppure quelli – vero tormentone del festival – sulla capacità visionaria del nuovo cinema italiano, sulla sua capacità di sposare un “cinema del reale” a una elaborazione simbolica di quella realtà. Siamo forse di fronte a una “nouvelle vague” italiana, che il RM3FF è fiero di cogliere e di avere in qualche modo anticipato.
Un tema che mi sta a cuore, più in generale, è quello di inserire il RM3FF in un più ampio discorso di valorizzazione del cinema al Teatro Palladium, gioiellino di Roma Tre, che di recente è diventato Fondazione. Da qualche anno al Palladium si fanno teatro, musica, danza, performances letterarie, ma anche cinema, in omaggio alla tradizione di quello che era il vecchio cinema della Garbatella. L’ambizione che il Palladium diventi (in parte lo è già) un’altra Casa del Cinema, un luogo di incontri, di riflessioni, di dibattiti, di sperimentazioni, di emozioni. Lo spirito del festival continuerà anche nelle varie iniziative sul cinema che faremo al Palladium durante tutta la stagione 2018-2019: anteprime in collaborazione con Agiscuola, master classes col cinema italiano, uscite-sala di film “difficili”, omaggi al cinema al femminile, attenzione al cinema “espanso” e alle sue contimanzioni con le altre arti, creazione di una “rete” con gli altri festival (Arcipelago e Visioni fuori raccordo se sopravvivranno, Diritto al corto, 48 ore festival, e soprattutto Festa del Cinema di Roma) e con le altre sale romane omologhe (soprattutto Farnese e Nuovo cinema Aquila).
Insomma, il bilancio del tredicesimo festival è davvero positivo. Anzi, forse si tratta di un’edizione irripetibile. Sono intervenuti nomi grandissimi, si sono viste delle “cose” (nel senso di prodotti anche ibridi e contaminati) straordinarie. Ma soprattutto si è creato un gruppo appassionato che spero possa ereditare il festival nei prossimi anni e a cui io possa passare il testimone di una creatura che amo (creare un festival è come fare un figlio, e il RM3FF è quasi adolescente). Voglio citare Giacomo Martini e Andrea Rabbito, dioscuri amici di generazioni molte diverse ma di ideali comuni; Emiliano Aiello, nella doppia veste di organizzatore e di filmmaker, Elio Ugenti, Malvina Giordana, Nicolas Bilchi, versatili giovani studiosi capaci di appassionarsi al festival come alle loro ricerche; e poi Arianna Calogero, l’esperta dei montaggi, Tindaro Trimarchi autore della raffinata sigla, Carmela Parisi ideatrice della grafica del “Premio Palladium”, Giulia Magro segretaria di redazione, Chiara Rapisarda e Tiziana Terranova alle (ri)prese col backstage; e tanti altri stagisti, tirocinanti, volontari. Come il film non è solo del regista, anche un festival è di un collettivo, di un gruppo di collaboratori artistici che se è affiatato facilita il successo della manifestazione. Come quella, storica, del 2018.