L’immagine televisiva, come quella cinematografica, costituisce in primo luogo una fonte preziosa per la ricerca storica sul Novecento, come è stato ormai riconosciuto dagli storici contemporanei. Il rapporto fra gli eventi della storia e la loro rappresentazione in televisione, rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa, ha seguito un suo particolare percorso, a causa della sua crescente e pervasiva presenza, e della sua rilevanza politica, culturale, sociale: Dayan e Katz, tra gli altri, hanno messo in evidenza il dispiegarsi del live broadcasting of history, della storia in diretta, indicando la TV quale luogo della celebrazione o dell’accadimento di eventi di vasta portata. L’immagine televisiva costituisce allora uno straordinario strumento di rappresentazione e di ridefinizione della memoria collettiva, e una straordinaria opportunità di accrescimento della coscienza del passato e dei momenti fondativi su cui si sostiene una società.
La televisione, non diversamente dal cinema, assume dunque sempre più la duplice veste di fonte e strumento di narrazione storica; ma il rapporto tra storia e televisione non è semplice e se la storia è da sempre fonte d’ispirazione per le produzioni televisive, la televisione fornisce alla storia delle fonti per la ricerca d’inestimabile ricchezza. Già da parecchi decenni gli storici hanno sentito la necessità di allargare ai media e ai loro prodotti l’attenzione riservata per le fonti. La prima elaborazione di una metodologia adatta alle fonti audiovisive può essere fatta risalire alla fine degli anni Sessanta, benché gli autori della Nouvelle Histoire, come Febvre e Bloch, avessero, fin dagli anni Trenta, allargato il territorio in cui lo storico poteva operare. La nuova tendenza metodologica, affermata e ribadita da Le Goff, per il quale “tutto è fonte per lo storico”, è quella di annettere nell’ambito della ricerca documenti di varia e spesso inusitata estrazione.
Tuttavia l’istituzione degli audiovisivi come fonti è un processo tuttora in corso, che si carica di resistenze e perplessità soprattutto negli ambienti accademici, spesso refrattari a prendere in considerazione il materiale audiovisivo. La ragione di tale scetticismo è la natura stessa del materiale: la natura non verbale o non esclusivamente verbale della fonte, il discutibile livello di veridicità delle immagini in movimento, la complessità dell’analisi relativa all’intenzionalità degli autori dei programmi originali, la concreta possibilità di manipolazione, l’infinita riproducibilità che rende difficile la differenziazione tra l’originale e la copia, e tra fonte primaria e fonte secondaria, sono solo alcuni esempi dei problemi legati all’analisi storica delle fonti audiovisive. Si intuisce allora come l’inclusione di tali fonti nel discorso storico esiga una sistemazione metodologica più articolata di quella tradizionalmente usata per altre fonti (per un panorama sul dibattito storiografico cfr. d’Orsi, 1999; Mustè, 2005).
Se il Novecento è stato definito il secolo della testimonianza, ciò si deve in primo luogo alla massiccia presenza dei mezzi di comunicazione di massa al centro della vita politica e culturale delle società postmoderne di cui registrano e riproducono gli accadimenti salienti nel loro dispiegamento reale, simbolico o puramente retorico. La televisione, in particolare, da strumento di testimonianza, rischia talvolta di trasformarsi in sostituto simulacrale degli eventi. Le trasmissioni che compongono il flusso televisivo raggiungono una grandissima audience, intervenendo direttamente sul contesto in cui la storia stessa si realizza, incidendo in modo rilevante sulla memoria collettiva nel ruolo di agente di storia. Ma la televisione, paradossalmente, è considerata uno strumento di alienazione della memoria e di conseguenza, della storia, a causa dell’enfasi che essa porta sulla presentificazione del proprio discorso, alterando fino al limite la distanza tra presente, passato e futuro che erano alla base della nozione di ciò che chiamiamo storia. Insomma, oggi l’evento sembra storia nello stesso istante in cui è trasmesso.
Le produzioni televisive di carattere storico hanno una tendenza ad affermare più che ad analizzare il passato, come se, attraverso l’autenticità effimera che essa contiene, l’immagine possa offrire una realtà storica nella più semplice trasparenza. Se da un lato la rielaborazione dell’immagine d’archivio è fondamentale per un dialogo tra autore e spettatore, al fine di evitare una filologia pedante della fonte, dall’altro la divulgazione televisiva deve porsi in modo critico di fronte agli eventi controversi della storia (De Luna, 1993: 30).
Se dal punto di vista teorico i documenti audiovisivi ottengono il riconoscimento degli studiosi per entrare a far parte del patrimonio a cui attingere nella ricerca scientifica, dal punto di vista pratico la mancata sollecitudine nel valutare i documenti audiovisivi come fonti e lo scetticismo da parte degli intellettuali e dei politici ha lasciato alle istituzioni radiotelevisive il compito e la responsabilità di salvaguardare la propria ricchezza. Fortunatamente le reti TV non hanno tardato a scoprire che nei loro scaffali si accumulava una fonte preziosa di immagini già pronte da trasmettere senza costi suppletivi (per una storia dell’École des Annales, cfr. Burke 1990; per una panoramica esaustiva dei concetti chiave della “nuova storia”, cfr. Le Goff, Chartier, Revel 1978).
La storia ha vivificato i palinsesti televisivi degli ultimi anni in forme differenti: dai documentari storici, che hanno tentato modalità innovative di racconto storico, basato per lo più sulle immagini, ai prodotti più popolari della narrativa (le cosiddette fiction storiche) che hanno provato a colmare una diffusa esigenza di ricostruzione storica e di memoria condivisa. È possibile distinguere almeno quattro tipi di programmi storici che si caratterizzano per il loro rapporto col passato: il primo tipo comprende quelle trasmissioni in cui nulla è lasciato all’invenzione o alla finzione. Il secondo tipo riguarda i programmi a vocazione storica in cui la ricostruzione serve a restituire il passato nel modo più fedele possibile e l’uso di elementi di finzione è ricondotto a un contesto storico estremamente accurato. Nella terza categoria la storia non è il fine, ma il mezzo per narrare un’altra storia: il passato è messo sullo stesso piano di un personaggio (come nei film di guerra). Infine, nei film in costume il passato serve a evocare una realtà onirica, caratterizzata da scenografie e costumi stravaganti che contribuiscono a rendere la storia un semplice pretesto o un intrigante “spunto”.
Eppure, nonostante il grande fermento che ha accompagnato questo rinnovato interesse per la storia, ancora molti problemi restano aperti. La storia degli ultimi cinquant’anni, dunque, ha preso spesso le forme dell’immagine televisiva ma il rapporto fra storia e televisione solleva una serie di questioni che, solo di recente, gli studiosi hanno cominciato ad affrontare sistematicamente. In che senso l’immagine televisiva può essere considerata una fonte per la ricerca storica? In quale misura le riflessioni elaborate su altri media – soprattutto sul cinema – possono valere a proposito della televisione? E le domande non si esauriscono qui perché la televisione, per la sua straordinaria pervasività, ha sovente giocato un ruolo attivo nel suo rapportarsi alla storia: da un lato, si è fatta essa stessa “evento” riempiendo della propria forma e della propria grammatica la rappresentazione dei fatti comunemente ritenuti “storici”; dall’altro, ha assunto il ruolo sempre più centrale di narratore storico, di terreno di confronto sulla ricostruzione del passato, di luogo nel quale coagulare una memoria condivisa (Gallerano, 1999).
L’altro grande tema che emerge nel rapporto tra storia e televisione è legato agli archivi mediali (Edgerton, 2001) che, negli ultimi dieci anni, si è imposto tra le sostanziali questioni della memoria collettiva e della testimonianza culturale. Nell’era digitale, gli archivi fanno crescere esponenzialmente l’esigenza sociale di rivitalizzare e usare in modo permanente e accessibile le memorie a valore collettivo depositate nei repertori di comunicazione pubblici e privati. Con l’imponente affermazione e la massiccia diffusione delle tecnologie digitali, molti dei paradigmi acquisiti tra gli anni Sessanta e Ottanta – soprattutto per gli archivi audiovisivi – sono stati oggetto di ripensamento radicale.
I nuovi archivi, corrispondenti alle cineteche e mediateche più tradizionali, non soltanto aggiungono – come si evince dalle esperienze di conservazione dell’audiovisivo in Italia, Francia e Gran Bretagna – nuove funzioni d’uso a quelle tipiche ma anche modelli di collocazione, consultazione e diffusione innovativi, oltre che nuovi criteri e vincoli giuridici riferiti, in particolar modo, al diritto d’autore. Proprio nel merito degli archivi audiovisivi è stato avviato un articolato dibattito di ordine storico e interpretativo che ha ricollocato l’audiovisivo nell’ambito disciplinare delle storie contemporanee, attestandone la centralità nelle modalità di rappresentazione e comunicazione per le scienze sociali. Se il ragionamento fin qui è corretto, allora, nei prossimi mesi assisteremo a un nuovo, considerevole aumento di investimenti nell’archiviazione delle immagini che non può più esser lasciata ai soli broadcaster (d’Orsi, 1999: 189; G. Panico, 2007).
Ma questo scenario, decisamente interessante, non è privo di incognite che sono legate all’alto costo della conversione al digitale, ai tempi di attivazione relativi alla sistemazione di una notevolissima quantità di materiali conservato nei magazzini delle emittenti, alla definizione degli standard tecnici e all’integrazione e la compatibilità tra sistemi diversi. Insomma, siamo soltanto all’inizio di un percorso lungo il quale il rapporto tra storici e televisione è ancora tutto da creare (De Luna, 2001: 110).
BIBLIOGRAFIA
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