La rivista online e cartacea Scenari, a partire dal primo gennaio 2018, inaugura una nuova sezione dedicata ai visual culture studies nel quale verranno pubblicati saggi redatti da parte sia di autori che già collaborano con il periodico sia di nuovi studiosi appartenenti a diverse università italiane e straniere.
Proprio in quanto si viene a creare una nuova sezione, che prenderà il titolo di “Visual Culture Studies”, si è deciso di costituire un nuovo e specifico Comitato Scientifico riguardante i lavori che verranno pubblicati all’interno di questa voce presente nella rivista.
La scelta di creare una nuova sezione di saggi che si focalizzi sulla cultura visualenasce dal fatto che proprio questi studi si offrono come un approccio estremamente utile e produttivo per l’analisi delle immagini e più in particolare – ciò che qui ci interessa maggiormente – per l’analisi delle diverse tipologie di rappresentazioni e dei vari prodotti offerti dai mass media e dai new media.
È infatti indubbio che proprio l’evoluzione più recente del panorama mediale abbia spinto vari settori del pensiero e della ricerca a tematizzare insistentemente la questione dell’immagine e delle immagini nelle loro relazioni con il pensiero, la tecnologia, la cultura, l’estetica, ma anche con l’esperienza incarnata e situata dei soggetti in tutte le sue forme.
Tale approccio di studi si rivela, d’altra parte, particolarmente utile per comprendere non solo i fenomeni contemporanei relativi alle nuove immagini, questo perché offre un modello di ricerca che ritiene errato il concentrarsi sul solo frammentoofferto dall’attualità e sprona ad avere, del fenomeno indagato, una visione globale, attraverso un’attenzione ai vari tasselli che attorniano e compongono l’oggetto preso in analisi. Più precisamente l’approccio alle immagini che i visual culture studies propongono e che caratterizzeranno i saggi che verranno pubblicati in questa sede, dimostra come sia necessario:
– far dialogare e ibridare approcci disciplinari differenti,
– muoversi nell’orizzonte dei linguaggi collegati alle “immagini tecniche” (Flusser), o “immagini nuove” (Zagarrio e Menduni), o più in generale alle “tecnologie della sensibilità” (Montani); ma con l’intenzione di espandere l’attenzione a linguaggi e forme espressive differenti, dalla pittura e dall’arte al cinema fin o alla scena teatrale di ricerca;
– rivolgere lo sguardo al passato, anche a quel periodo durante il quale non era ancora presente ciò che è di nostro stretto interesse, mediante percorsi archeologici e genealogici.
Usando una metafora possiamo scrivere che i visual culture studies reputano non esaustivo il rivolgere lo sguardo alla sola punta dell’iceberg senza tener conto:
– di tutta la stratificazione di ghiaccio fuori dall’acqua su cui tale punta si appoggia,
– della vasta massa del ghiacciaio da cui l’iceberg prende origine e da cui si è staccato,
– dell’intero blocco di ghiaccio nascosto sott’acqua che permette all’iceberg di essere visibile, di galleggiare e di innalzare in alto il proprio vertice.
Con le tre immagini relative al blocco di ghiaccio nascosto sott’acqua, a quello emerso ma sottostante la punta dell’iceberg e a quello imponente del ghiacciaio di partenza da cui l’iceberg ha origine e dal quale si è staccato, si intende proporre, in termini metaforici, la rappresentazione sia del passato dell’oggetto che si analizza, sia i legami che quest’ultimo intrattiene con altri fenomeni più o meno legati all’oggetto di studio, posto al vertice dell’iceberg.
In questo modo, per quanto riguarda le nuove immagini, la sezione “Visual Culture Studies” dimostrerà come sia utile interrogare i legami che queste stabiliscono con gli altri linguaggi artistici, interpellare vari settori scientifici per analizzare le varie aree e i vari strati delle masse di ghiaccio anche di passata appartenenza, e anche, in conseguenza a quest’ultimo aspetto, si dovranno prendere in considerazione fasi temporali della storia in cui non erano ancora presenti le immagini tecniche.
Con l’immagine dell’iceberg emerge così come tutto si lega e costituisce, ogni fenomeno, una parte di un corpo unitario e complesso, appartenente ad un network profondamente vasto e variegato.
Proprio in virtù del fatto di considerare l’oggetto di studio appartenente ad una realtà complessa, articolata ed estesa, la geografia del fenomeno delle nuove immagini riconoscerà la presenza e l’importanza di vari territori fra loro anche distanti nello “spazio” e nel “tempo” rispetto l’area che occupano le immagini dei mass media e new media. E per questa ragione, da un lato, Pinotti e Somaini scrivono che quello dei visual culture studies risulti “un terreno estremamente transdisciplinare, caratterizzato cioè da tematiche […] che attraversano diverse discipline”; ed è per questo che, dall’altro lato, Mirzoeff osserva come “la visual culture [sia] una strategia con cui studiare la genealogia, la definizione e le funzioni della vita quotidiana postmoderna dal punto di vista del consumatore”. La componente genealogica, che caratterizza i visual culture studies, non deve però indurre, come evidenzia Mirzoeff, a ritenere che queste ricerche si soffermino solo nell’offrire “la storia delle immagini”, o “una teoria sociale della visione”, semmai si pongono l’obiettivo di concentrarsi “sul ruolo determinante che [la cultura visuale] ricopre nel contesto della più ampia cultura a cui appartiene”.
In questo senso, infatti, oltre allo studio su produzioni relative al mondo delle nuove immagini, si impone anche, da un lato, una produzione saggistica che analizzando della visione le sue diverse sfaccettature, si focalizza, ad esempio, sull’influenza del montaggio cinematografico nella costruzione dell’iper-romanzo, sul rapporto tra immagine classica e parola, come emerge nello studio di Cometa sull’ekphrasis letteraria, o prende come oggetto di studio moda, design, secondo l’esempio proposto da Rampley. E dall’altro lato si sviluppano studi che, oltre all’incidenza delle nuove immagini su tutti i vari linguaggi, analizzano il ruolo che tali immagini hanno sulla dimensione quotidiana, sull’esperienza che l’uomo contemporaneo vive e su come la sua cultura cambi in relazione alla presenza massiccia delle nuove immagini. Aspetto questo che è ben messo in evidenzia da Casetti quando osserva che il cinema, e possiamo aggiungere, anche diversi mass media e new media,
fin dalle [loro] origini [abbiano] ruotato attorno al fatto di offrirci delle immagini attraverso cui riconfigurare il nostro rapporto con la realtà. Fin da subito è stato soprattutto un modo di vedere, di sentire, di capire.
Questo fenomeno di riconfigurazione del rapporto con la realtà, di incidenza sul modo di vedere, di sentire, di capire, di negoziare confini e compromessi tra il fattuale e il fittizio, analizzato da Casetti ne L’occhio del Novecento, fa comprendere come le nuove immagini creino una dimensione inedita, una cultura nuova, dove tutto ruota attorno al visuale e su cui si focalizzeranno gli studi che la sezione “Visual Culture Studies” ospiterà.
Sono le nuove immagini che determinano una nuova cultura, supportate, nei nostri giorni, dalla loro decisa diffusione che si realizza mediante i new media, che permettono di renderle presenti in ogni momento della vita quotidiana, grazie, in particolare, al processo della rilocazione, ovvero “quel processo grazie cui”, spiega Casetti, “un’esperienza mediale, in generale, si ripropone altrove rispetto a dove si è formata, con altri dispositivi e in altri ambienti”.
E proprio perché l’esperienza mediale, in particolare quella riguardante la fruizione delle nuove immagini, coinvolge vari dispositivi, ambienti e linguaggi, necessiterà un ampio raggio d’azione da parte dei visual culture studies, si dovranno concentrare anche nello studio di quei media il cui linguaggio non è direttamente e apparentemente correlabile al mondo delle immagini, e dovranno richiedere il supporto e il coinvolgimento di varie discipline. Il prendere in analisi diversi linguaggi e vari approcci scientifici risulta necessario in quanto, come mette in evidenza Eugeni, non solo vi è una forma di fusione tra i diversi dispositivi mediali, i quali vedono sparire i propri confini che li separano dagli altri dispositivi, ma anche perché quest’ultimi si integrano e si fondono perfettamente con “apparati sociali in linea di principio non mediali”. Come infatti scrive Eugeni
i dispositivi si moltiplicano e soprattutto si localizzano capillarmente nel tessuto sociale: grazie alla logica del broadcasting essi entrano addirittura nelle case, invadono gli spazi privati, riconfigurano i luoghi della vita comune. […] Non è più possibile oggi stabilire con chiarezza cosa è “mediale” e cosa no lo è.
In questo modo appare evidente, riprendendo l’immagine metaforica iniziale, che la punta dell’iceberg, su cui si posizionano le nuove immagini, abbia una forte incidenza e interessi sia la parte sottostante (quella emersa e quella sott’acqua) sia la vasta massa da cui si è staccata, così come, viceversa, risulta chiaro come l’incidenza, che hanno questi due elementi nella formazione e nella natura dell’oggetto posto al vertice del blocco di ghiaccio, sia profonda. Riprendendo un’osservazione di McLuhan, secondo cui “un nuovo medium non è mai un’aggiunta al vecchio e non lascia il vecchio in pace”, possiamo scrivere che tale fenomeno si realizza anche in senso inverso: ovvero, nel nostro caso, osserviamo che i nuovi linguaggi dei mass media e new media non lasciano in pace i precedenti linguaggi, così come quest’ultimi non lasciano in pace i nuovi; e non solo: possiamo cogliere anche come i vecchi e nuovi non lasciano in pace la cultura, anzi la costituiscono (secondo quanto già messo in luce da Innis e McLuhan stesso; la tecnologia, scrive infatti quest’ultimo, “introdotta in una cultura” sviluppa un “processo attivo che rimodella gli uomini”).
I saggi della sezione “Visual Culture Studies” si focalizzeranno così, in particolare, sui vari linguaggi e i differenti media per analizzare “la svolta visiva che la vita quotidiana ha già intrapreso”, e per studiare come tutti questi si siano indirizzati verso una “svolta iconica”, riprendendo la felice espressione di Boehm. Come infatti iscrive Mirzoeff, “uno dei compiti principali della visual culture è comprendere come queste complesse immagini siano create”, tenendo conto che queste immagini “non sono prodotte da un unico medium o in unico luogo, come vorrebbero le precise suddivisioni accademiche”.
Tale approccio invita dunque da un lato a riscoprire la genealogia delle nuove immagini e dall’altro a mettere a confronto, ad esempio, l’immagine cinematografica con l’immagine pittorica, ma anche con quelle “immagini” offerte dal teatro (scrive infatti Ortega y Gasset che anche ciò che viene offerto dal teatro, la sua rappresentazione, può essere considerata “realtà immagine”, in quanto tutte queste “possiedono la condizione di presentarci, in luogo di se stesse, altre realtà diverse”). E nello stesso tempo si intende cogliere in che modo il teatro, ad esempio, accolga le nuove immagini (come emerge chiaramente negli spettacoli di Pippo Delbono, Fura dels Baus o della Socìetas Raffaello Sanzio).
Si intenderà così non solo fondere la prospettiva storica della storia dell’arte, della letteratura, del teatro e dei film studies con l’approccio case-specific, ma anche di fare tesoro delle ricerche condotte nei campi di antropologia, filosofia, estetica, media studies, sociologia, psicologia, neuroscienze, ecc. Mettendo insieme tali discipline si potrà giungere ad una proficua analisi del fenomeno relativo le nuove immagini, come ben testimoniano, all’interno del panorama italiano, gli studi di Casetti, Eugeni, Ortoleva, Somaini, Zagarrio, Menduni, Quaresima, Bertetto, De Gaetano, e più recentemente di Guerra in sinergia con Gallese.
Tale insieme di varie discipline coinvolte nello studio delle nuove immagini, dei suoi prodotti e delle produzioni ad esse non strettamente legate, permette, ritornando alla nostra immagine metaforica, di fare luce sui vari aspetti della punta dell’iceberg e comprendere la sua complessa natura e composizione che interessa varie aree, anche apparentemente non contigue.
Ed è proprio su questo aspetto che possiamo trovare una precisa indicazione di analisi proposta da Morin; il padre del pensiero complesso, infatti, da un lato, critica che al “ricercatore si vede offrire il possesso esclusivo di un frammento del rompicapo la cui visione globale sfugge a tutti e ad ognuno”; dall’altro, invece, mette in atto ne Il cinema o l’uomo immaginario, I divi, e Lo spirito del tempo un percorso di ricerca orientato ad avere una visione articolata delle varie sfaccettature che compongono il quadro complesso del mondo dell’arte, dello spettacolo, della comunicazione, dei mass media in cui la conoscenza non si dissocia “in mille saperi inconsapevoli”, ma si accorda su un metodo che “articol[a] ciò che è separato, e colleg[a] ciò che è disgiunto”.