Il 9 ottobre l’Accademia Reale svedese delle Scienze ha annunciato che il vincitore del premio Nobel per l’economia del 2017 è Richard Thaler, Professore all’Università di Chicago. Il premio è stato assegnato per i suoi studi in economia comportamentale che, utilizzando metodi tratti dalla psicologia, elabora modelli di comportamento alternativi rispetto a quelli della teoria economica standard.
Non è la prima volta che studi in grado di costruire un ponte tra le analisi economiche e psicologiche del processo decisionale vengono premiati dell’Accedemia svedese. Nel 2002 è stato Daniel Kahneman, psicologo, a vincere il Nobel per l’economia, sostenendo che gli individui non sono perfettamente razionali come prevede la teoria mainstream, ma che i comportamenti nascono spesso da processi cognitivi intuitivi ed automatici chiamati euristiche. Secondo Kahneman (Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2011) gli individui sono composti da una doppia natura cognitiva. In certe situazioni le persone utilizzano un sistema di pensiero razionale, riflessivo, controllato, meditato, deduttivo, lento, consapevole, ligio alle regole. In altre situazioni, invece, le scelte e i comportamenti degli individui sembrano caratterizzati da un sistema di pensiero intuitivo, impulsivo, incontrollato, spontaneo, associativo, rapido, inconsapevole.
Thaler è andato oltre, utilizzado questi meccanismi mentali emotivi ed impulsivi per sviluppare nuove politiche economiche e sociali. Secondo Thaler anche il più piccolo riferimento ad un’idea o ad una rappresentazione mentale può innescare un’associazione che stimola l’azione, favorendo od inibendo un determinato tipo di comportamento. Infatti, mentre l’aspetto razionale degli individui risponde in maniera efficace ad incentivi monetari, a strumenti di imposizione fiscale, a finanziamenti e sovvenzioni, quello impulsivo è un sistema cognitivo che risponde ad altri fattori, chiamati pungoli cognitivi, i quali si trovano nel contesto ambientale in cui la scelta deve essere presa: il modo di presentare le situazioni ed i problemi influenza le decisioni degli individui. Si tratta quindi di questioni che riguardano non sono l’economia, ovviamente, ma tutte le scienze sociali, andando a studiare il modo in cui gli individui si comportano in un contesto sociale, politico, economico.
La rilevanza di questi studi è riscontrabile in diversi campi, per Scenari ci focalizzeremo sulle politiche sociali, mostrando quello che è il cuore della proposta innovativa di Thaler: le politiche pubbliche che intendono “spingere” gli individui verso un certo comporamento (ad esempio non fumare, o indossare la cintura di sicurezza) possono essere realizzate non solo facendo ricorso ai classici incentivi economici (si pensi alle multe), ma anche ad innovativi strumenti chiamati pungoli cognitivi. In particolare, l’attenzione sarà focalizzata su proposte di innovazione delle politiche sociali riguardanti i settori pensionistico e sanitario e verranno presentate alcune possibili azioni di pungolamento: il loro contributo consiste nell’incoraggiare le persone a migliorare le scelte sia per quanto riguarda il rischio della vecchiaia sia per quanto riguarda la prevenzione delle malattie e la riduzione dei fattori di rischio per la salute.
Partiamo quindi dagli incentivi economici, per come sono pensati dall’approccio tradizionale. L’utilizzo degli incentivi economici per la promozione di stili di vita corretti risponde principalmente alla sfera razionale del sistema cognitivo degli individui. La scelta del ricorso agli incentivi monetari per la politica pubblica e sociale segue la logica della teoria economica moderna: secondo l’ideale dell’homo oeconomus il comportamento degli agenti è perfettamente razionale. Il modello economico del comportamento umano, infatti, è basato sull’ipotesi secondo cui il denaro sia in definitiva il maggiore e il più efficace incentivo all’azione (Frey, Non solo per denaro, Mondadori, 2008).
Anche per questo motivo, attualmente, gli strumenti di policy più utilizzati per promuovere comportamenti corretti fra la popolazione consistono in incentivi monetari, che possono presentarsi sia sottoforma di sussidi e finanziamenti sia sottoforma di imposizione fiscale. L’importanza dell’effetto-prezzo è evidente e non viene negata da Thaler. Basti pensare all’esempio della particolare tassazione a cui vengono sottoposte le sigarette. Il fumo di tabacco è tra i principali fattori di rischio nell’insorgenza di numerose patologie: aumentandone il costo, le persone vengono penalizzate nel consumo e incoraggiate ad uno stile di vita più salutare. L’effetto-prezzo si realizza anche in sussidi e finanziamenti. Un esempio riguarda i servizi ferroviari e in generale i mezzi di trasporto pubblici. I trasporti pubblici vengono sovvenzionati dagli enti pubblici in modo tale da incentivare la popolazione a spostarsi usando mezzi pubblici, che evitano il ricorso all’utilizzo dell’automobile, un mezzo di trasporto particolarmente inquinante e pericoloso per l’incolumità delle persone.
Tuttavia, esistono processi cognitivi che vanno oltre le logiche razionali e monetarie. Ad esempio, in una scuola israeliana alcuni genitori si presentavano spesso tardi a prendere i loro figli al termine delle attività didattiche. Per questo motivo si pensò di introdurre multe, ma il risultato fu sorprendente: il numero delle persone in ritardo crebbe anziché. I genitori, rispetto alla situazione precedente, erano disincentivati a lasciare i loro figli a scuola, ma evidentemente il fatto di pagare, quindi di compensare in qualche modo il danno, li convinse che fosse più giustificabile presentarsi oltre l’orario di chiusura della scuola diminuire (Gneezy, Rustichini, A Fine is a Price, «Journal of Legal Studies», 2000). La causa dell’inefficacia di alcuni incentivi economici sono le caratteristiche dei processi cognitivi umani, in particolare il sistema di pensiero intuitivo, impulsivo, incontrollato, spontaneo, associativo, rapido, inconsapevole delle persone. Questo non significa che gli strumenti classici dell’economia siano inefficaci o inadeguati nell’influire sui comportamenti degli esseri umani. Non a caso Thaler, insieme a Cass Sunstein (La spinta gentile, Feltrinelli, 2009), precisa che non intende «suggerire che le normali forze economiche sono irrilevanti». Un approccio sperimentale indica soltanto che gli esiti degli incentivi non sono sempre scontati e che oltre agli incentivi c’è altro.
Passiamo quindi ai pungoli cognitivi. Quando si prendono decisioni, non essere perfettamente razionali significa essere influenzabili psicologicamente dall’ambiente di scelta, ovvero dal contesto in cui le decisione vengono prese. L’inerzia, la complessità della vita quotidiana, il modo in cui viene presentata una opzione, le scelte del gruppo di appartenenza: sono tutti elementi che condizionano le scelte delle persone. Il lavoro di ricerca di Thaler è nato da questa constatazione, e si è mosso verso lo studio di quelle che sono le leve decisionali in questo contesto. I pungoli cognitivi, quindi, sono elementi ambientali che possono essere progettati e che spronano psicologicamente le persone. La loro efficacia è possibile grazie al funzionamento del sistema impulsivo del sistema cognitivo umano: anche il più piccolo accenno a un’idea o ad un concetto può innescare un’associazione che stimola all’azione, e in questo modo piccoli fattori possono esercitare un’azione non trascurabile sul comportamento delle persone, facilitando o inibendo un certo tipo di comportamento. Ricorrendo ad una similitudine, i pungoli possono incanalare i comportamenti delle persone come il corso di un rigagnolo d’acqua può essere determinato da cambiamenti apparentemente minuscoli del territorio.
In realtà alcuni tipi di pungoli cognitivi sono già utilizzati da diverso tempo, più o meno in maniera sistematica e consapevole. Un esempio si trova lungo le strade, soprattutto in prossimità di curve pericolose, incroci stradali, attraversamenti pedonali, centri abitati. Generalmente una strada ampia e rettilinea porta psicologicamente gli automobilisti a spingere troppo sull’acceleratore, ma può succedere che ad un tratto si presenti una curva pericolosa e che, per la velocità acquisita in precedenza, molte vetture vadano fuori strada. Come ridurre gli incidenti ricorrendo al sistema impulsivo ed automatico degli automobilisti? Alcune amministrazioni decidono di posizionare prima del pericolo una serie di strisce bianche che mandano agli automobilisti un segnale visivo. Come argomenta Thaler, insieme al giurista Sunstein, «inizialmente, quando appaiono, sono equidistanti fra loro, ma via via che ci si avvicina alla parte più pericolosa della curva si fanno progressivamente più vicine, dando la sensazione che la velocità di guida stia aumentando. L’istinto naturale è quello di rallentare» (La spinta gentile, Feltrinelli, 2009). L’ambiente di scelta originale non era né neutrale né positivo, in quanto era costituito dall’ampia strada che portava gli automobilisti ad uscire di strada. L’azione è stata quella di modificare l’ambiente introducendo le linee bianche, ovvero dei pungoli cognitivi che attraverso i meccanismi di funzionamento del cervello invitano le persone a toccare il freno prima di raggiungere il pericolo.
Per quanto riguarda le politiche pubbliche sono numerosi i generi di pungoli a cui è possibile fare ricorso. Uno dei maggiori pungoli, ad esempio, utilizza la forza delle opzioni di default. Quando viene offerto un ventaglio di proposte, l’opzione di default è quella che viene ritenuta predefinita e automatica, fino al momento in cui non viene avanzata alcuna istruzione esplicita. Queste opzioni, oltre che molto influenti, sono onnipresenti, in quanto ogni situazione di scelta deve essere presentata in una certa forma e deve prevedere quali sono le conseguenze se il soggetto si astiene dallo scegliere. Ovviamente possono essere utilizzate per molti fini diversi, sia positivi sia negativi, in base al punto di vista. Le aziende dimostrano già di conoscere bene l’immenso potere delle opzioni di default, e utilizzano i limiti cognitivi umani a loro vantaggio. È il caso del rinnovo automatico degli abbonamenti alle riviste: annullare l’abbonamento è faticoso, richiede impegno e mente fredda, ed è molto più facile procrastinare, finendo con il restare abbonati ad una rivista per cui non si ha più interesse.
Ma quali altri interventi di policy possono essere realizzati attraverso la leva cognitiva? Prendiamo in considerazione le politiche per la salute e pensiamo di essere un responsabile di mensa. Il problema dell’obesità è sempre più grave: ad esempio negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70 quasi la metà della popolazione era in soprappeso e il 15 per cento era obeso, mentre oggi tre quarti della popolazione è in soprappeso e quasi un terzo è obeso. È possibile modificare le scelte degli alimenti da parte degli utenti senza limitare il menu, bensì modificando la disposizione e la presentazione delle diverse cibarie? Vengono date al personale di diverse mense istruzioni specifiche su come presentare l’assortimento dei piatti: in alcune mense i dessert sono stati posizionati per primi, in altre per ultimi, in altre ancora in una fila distinta. In alcune mense sono state messe ad altezza degli occhi le patatine fritte e gli hamburger, in altre le verdure e i bastoncini di carota. I risultati sono interessanti: come registrano Thaler e Sunstein in La spinta gentile, con la semplice riorganizzazione degli ambienti è possibile aumentare o diminuire il consumo di molti alimenti addirittura del 25 per cento.
Un altro caso, che rende bene l’idea di quanto possa essere influente sui comportamenti dei cittadini il modo in cui un problema è presentato, riguarda il consenso di espianto degli organi. È una questione molto rilevante, in quanto in tutti i paesi occidentali la domanda di organi è di gran lunga maggiore dell’offerta. L’ostacolo principale verso la guarigione di molte persone è la necessità di ottenere il consenso dell’espianto degli organi del defunto. Secondo alcuni studi è possibile incidere attraverso i pungoli cognitivi. Esaminiamo la sorprendente differenza tra i tassi di consenso di due paesi molti simili come l’Austria e la Germania: la Germania, che ha adottato un sistema di consenso esplicito, vede soltanto 12 cittadini su cento diventare donatori a seguito della morte; l’Austria, che ha adottato il metodo del consenso presunto, ha risultati ben diversi, con il 99 per cento dei cittadini diventa un donatore, mentre soltanto l’uno per cento esprime la sua contrarietà all’espianto degli organi . Mentre in Austria l’opzione di default è la donazione, in Germania l’opzione di default è la non donazione: è un pungolo cognitivo a portare una differenza che stupisce (Johnson, Goldstein, Do defaults save lifes?, «Science», 2003).
Applicazioni importanti sono state sperimentate anche nel campo delle politiche pensionistiche. Come sappiamo il calo della natalità e l’aumento della vita media hanno posto nuove sfide alla sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico. Una delle risposte adottate è stata la transizione verso un sistema multi-pilastro attraverso lo sviluppo dei fondi pensione complementari. I cittadini, quindi, sono sempre più chiamati in prima persona a provvedere al proprio mantenimento da anziani. Il problema è che il pensiero della pensione viene percepito dai giovani come astratto e distante, è quindi facile sottovalutare l’ipotesi di aderire a pensioni integrative. Per favorire una maggiore partecipazione è sicuramente possibile ricorrere ad incentivi monetari: si tratta, ad esempio, di favorire il ricorso alla previdenza complementare attraverso una politica fiscale che elevi il limite di deducibilità dei contributi.
Tuttavia, anche il ricorso ai pungoli cognitivi di Thaler può dare il suo contributo. Ci sono indubbiamente situazioni in cui è ragionevole non aderire ad un piano di contribuzione, ma spesso si tratta di negligenza: nel Regno Unito esistono addirittura piani a contribuzione definita che non prevedono il pagamento di contributi da parte del dipendente, ma sono finanziati per intero dal datore di lavoro. Al dipendente è richiesto solo di attivarsi per aderire al piano: eppure vi aderisce appena la metà degli aventi diritto. Ricercare le informazioni, confrontarsi con regolamenti e moduli è faticoso, e potrebbe scoraggiare le persone. E se si cambiasse la regola di default, passando dalla non adesione ad un meccanismo di adesione automatica? Appena un cittadino può aderire ad un piano pensionistico a contribuzione definita, ad esempio nel momento della prima assunzione, potrebbe ricevere una lettera in cui lo si informa che verrà iscritto automaticamente ad un piano previdenziale con un saggio di risparmio e un’allocazione di portafoglio predefiniti, salvo che non dichiari esplicitamente di non aderire. In una ricerca empirica su un campione statistico, Brigitte Madrian e Dennis Shea hanno constatato che il metodo di adesione volontaria produceva tassi di partecipazione pari al 20 per cento dopo i primi tre mesi di impiego, mentre dopo l’adozione dell’adesione automatica i tassi erano saliti fino al 90 per cento (The Power of Suggestion: Inertia in 401(k) Partecipation and Savings Behavior, «The Quarterly Journal of Economics», 2001). Vi è anche un’altra possibilità, che non prevede opzioni di default: è quella di richiedere al cittadino, appena entra nel mondo del lavoro, di decidere attivamente se aderire o meno ad un piano pensionistico a contribuzione definita. Il pagamento del primo stipendio, ad esempio, potrebbe essere subordinato alla compilazione del modulo in cui il lavoratore dichiara la propria volontà.
I problemi che riguardano le pensioni, tuttavia, non si fermano all’aderire ad un piano di contribuzione, ma richiedono anche di fissare un livello contributivo adeguato. In molti casi le persone tendono a mantenere la percentuale minima di contribuzione volontaria, che è piuttosto bassa. Mentre il rischio di accumulare troppo denaro per la pensione ha un feedback immediato ed è possibile correggere immediatamente la percentuale di contribuzione, nel caso in cui si stia risparmiando troppo poco si ha un riscontro solo una volta terminata l’attività lavorativa. Per limitare questo problema Thaler, con il collaboratore Shlomo Benhartzi, propone di adottare un programma di incremento automatico dei contributi battezzato Save more tomorrow (Save More Tomorrow: Using Behavioral Economics to Increase Employee Savings, «Journal of Political Economy», 2004). Il programma invita i partecipanti ad una serie di aumenti dei contributi previdenziali, scaglionati in modo tale da coincidere con gli aumenti di stipendio. Dopo aver dato la propria adesione al programma, l’inerzia delle persone fa in modo che il risparmio aumenti progressivamente. Questo metodo è stato sperimentato nel 1998 presso una azienda manifatturiera statunitense, e mostra il potenziale della architettura delle scelte. Ai lavoratori è stato chiesto di incontrare un consulente finanziario. Un gruppo di loro non ha accettato, e ha continuato a risparmiare il 6 per cento dello stipendio come faceva precedentemente. Un secondo gruppo, invece, ha incontrato il consulente e ha accettato la sua proposta di aumentare il saggio di risparmio di 5 punti: a seguito di questo aumento, la loro contribuzione media è aumentata dal 4 al 9 per cento. Un ultimo gruppo comprendeva le persone che, non potendo permettersi di aumentare da subito la contribuzione, hanno deciso di aderire al piano Save more tomorrow. Il loro risparmio era mediamente il più basso fra tutti, circa del 3,5 per cento. Dopo aver aderito al piano, il loro saggio di risparmio è aumentato gradatamente e, dopo tre anni e quattro aumenti di stipendio, ha raggiunto il 13,6 per cento.
Le proposte di policy proposte in questo scritto riguardano principalmente i settori sanitario e pensionistico, e mostrano come l’apporto che una prospettiva cognitiva e sperimentale possa offrire nuovi strumenti al policymaker. Non a caso Thaler ha avuto spesso il ruolo di consulente di diversi governi (fra cui la Danimarca, la Francia e soprattutto il Regno Unito, dove l’ex Premier Cameron istituì un team comportamentale). Naturalmente, questi strumenti cognitivi non potranno certamente risolvere da soli i problemi fondamentali che stanno attraversando le politiche sociali, tantomeno possono affrontare le grandi sfide delle società contemporanee. I pungoli cognitivi, tuttavia, possono essere un’opzione in più nella nostra “cassetta degli attrezzi” e possono dare un contributo interessante alla costruzione di policy più a “misura di mente umana”. Nel costruire questa prospettiva sta la rilevanza del lavoro di Thaler.