Un Compositore al Cinema: Piani Paralleli di Giovanni Mazzarino e Gianni Di Capua

 

 

 

 

Quel che conta davvero è l’idea del momento. Soprattutto è importante l’assenza di una chiara aspettativa. Allora il segreto è il sapersi accontentare, l’essere soddisfatti del risultato ottenuto seguendo l’idea di quel momento particolare.

Il messaggio recitato da voce fuori campo con cui si apre il nuovo film di Gianni Di Capua è il nucleo da cui inizia la narrazione di un nuovo viaggio musicale. Si tratta di un racconto sull’essere musicista e compositore, su compositori e musicisti. Il film è interamente girato nella stupenda Fazioli Concert Hall di Sacile (PN) attigua all’importante fabbrica di pianoforti. Quelli prodotti qui sono strumenti eccezionali, fuori dal comune. Ognuno ha una personalità propria, distinta ed essenziale, dalla voce riconoscibile in maniera univoca. Il piano che suona il protagonista Giovanni Mazzarino, pianista e compositore siciliano tra i più importanti nel panorama del jazz contemporaneo, porta il nome di Mago Merlino.  È battezzato così nella dedica scritta a pennarello sul telaio da parte del grande Aldo Ciccolini, il quale augurava nel 2005 “tanta felicità” agli artisti che l’avessero suonato dopo di lui.

Piani Paralleli (una produzione Bliq, Jazzy Records, Kublai Film, 2017) è un nuovo film-concerto che chi scrive suggerisce di andare a vedere, perché ti lascia con il desiderio di tornare al cinema una seconda volta, per riascoltarlo. Questo concerto a porte chiuse documenta un momento unico e straordinario, esattamente sulla scia dell’idea del momento, quello cioè delle prove e registrazione della Suite per Quartetto Jazz e Orchestra d’archi di Giovanni Mazzarino, che celebra così i suoi trent’anni di carriera. Il tutto è ripreso da tre telecamere che si muovono nella mezza luce della sala tra aste, microfoni, strumenti e luci, facendoti vivere l’esperienza di essere lì presente. La ripresa del suono è seguita da Stefano Amerio, apprezzato sound engineer di Artesuono di Udine.

Per Mazzarino la capacità, o meglio l’arte, di seguire l’idea del momento e di sapersi accontentare è la giusta modalità che muove l’intuito e la creatività del compositore. Essa non implica la rinuncia della ricerca di una nuova forma, anzi è proprio ciò che permette di andare avanti in tale ricerca. Si tratta di un atto che stimola la creatività, e non di una limitazione. Se così non fosse, s’instaurerebbe una lotta con se stessi, ripetutamente insoddisfatti e infelici della forma ottenuta: una modalità, questa, che rende sterile la ricerca creativa. Oppure sarebbe una lotta per cercare di uscire forzatamente da qualsiasi codice prestabilito, finendo col perdere tante occasioni che definiscono la nostra esperienza e la capacità di rinnovare il linguaggio musicale.

Il protagonista spiega che i suoi collaboratori sono persone, musicisti alla continua ricerca di un’idea musicale. Perché la musica è un racconto di idee. La musica così intesa, secondo Mazzarino, non è di tutti. Suonare uno strumento è di tutti, perché è un mezzo di espressione che tutti possono usare. Ma trovare la strada per tradurre in musica una poetica, questo no, non è di tutti. L’apprezzamento, l’estasi o la critica nei confronti di un’opera musicale sono di tutti, ma pochi sono gli autentici cercatori d’idee. Perché è nel mondo delle idee, riprendendo il principio fondamentale della filosofia platonica, che la musica esiste. La conoscenza è di tutti, continua Mazzarino, ma il contato con l’idea è un principio più esoterico, destinato a pochi.

Steve Swallow è uno di questi ricercatori, bassista che è una leggenda vivente del jazz moderno. Lui suona (ancora) il basso elettrico a cinque corde con il plettro, perché lui ricerca un suono identitario. È un musicista che “scrive senza far rumore” perché nella sua lirica e nella tecnica pensa come un solista. Egli esprime una sintesi completa del sentire e della sensibilità, quel contatto con l’idea, con il momento dell’idea, che si traduce in un gusto raffinato per la melodia.

Tutto il jazz è musica del momento. Una definizione di jazz può essere quella che lo vede come un movimento culturale che fondamentalmente rappresenta l’integrazione. Il jazz è come un racconto di ognuno e di tutti allo stesso tempo. Attraverso la conoscenza, che è di tutti, gli opposti si attraggono, si scrutano prima e si apprezzano poi, e infine…suonano insieme, se sono musicisti. Jazzista di grande fama, Fabrizio Bosso traspone sul suo strumento la cantabilità ricercata dal compositore. Tromba e flicorno sono i solisti più compatibili con l’orchestra da camera, scelta perché gli archi (violino, viola, violoncello, contrabbasso) sono gli strumenti dalla più spiccata forza melodica, capace di creare un dramma.

Bosso è musicista speciale, che porta in sé un “mondo bello”, riportando le parole di Mazzarino. Perché crediamo sia un mondo bello, quello delle idee. Sono idee sincere e di verità, quelle che sanno creare una musica che fa convivere il quartetto jazz con l’orchestra d’archi. Questi solo apparentemente (ma pare che ancora in molti non ci credano) sono mondi lontani. Sono diversi, e nella diversità si trova la creazione del nuovo. Grande capacità di sintesi quella che distingue Paolo Silvestri, arrangiatore del progetto e direttore della sezione d’archi. Sua la capacità di scrivere per gli archi in modo da far suonare dei musicisti classici, con il loro linguaggio, delle parti che dialogano sempre in parallelo con i musicisti jazz e con il loro linguaggio. L’Orchestra Accademia d’Archi Arrigoni ha un’estrema sensibilità nei confronti delle dinamiche e della creazione di atmosfere coloristiche. Riesce a portare tutto il suo bagaglio di esperienza classica a fondersi con la lirica rigogliosa di Fabrizio Bosso, che improvvisa con frasi di lungo respiro. Creare l’atmosfera giusta è l’obiettivo riuscitissimo di Paolo Silvestri, in particolare con richiami alla musica colta del Novecento, come quella di Hindemith e Ravel.

Tutta la suite è un quadro di mille colori e timbri, un fertile incontro di scrittura e improvvisazione, ricco di cambi di ritmo e di metro. La batteria di Adam Nussbaum – altro collaboratore di lunga data di Mazzarino, al pari di Swallow – è il collante di tutto il gruppo, con un tocco tanto leggero quanto carico d’energia, e sempre elegantissimo nel portare il tempo e, insieme, nel sottolineare gli accenti. Per Mazzarino la batteria è lo strumento che serve a far sentire sempre le note importanti, perché rinforza e carica di senso le melodie. Si tratta anche in questo caso di un musicista estremamente sensibile e dal raffinato senso melodico. L’opera tutta è un lungo canto: vedendo e ascoltando tutto il film sembra un’unica lunghissima melodia senza fine. Interessante proporre in questi anni una suite jazzistica (ricordiamo qui il celebre esempio di Freedom, composta da Duke Ellington per il suo Second Sacred Concert), che sa sintetizzare in una lingua contemporanea l’antica tecnica compositiva del tema e del suo sviluppo.

Un particolare prezioso è che nell’orchestra sono presenti anche dei giovanissimi musicisti, che dividono il leggio con chi è più adulto e porta una lunga esperienza. Sono le persone più giovani quelle forse più adatte a fare nuova musica, per loro inclinazione e curiosità. Il compositore, nel pensiero di Mazzarino mentre racconta il film, tende all’innovazione del linguaggio. La vera innovazione è quella che egli opera su se stesso. La nuova creazione e il rinnovamento avvengono però in seno all’attesa, questa è la novità. L’innovazione coincide con l’attendere il momento creativo. Il film ci insegna che nell’attesa c’è tutto ciò che serve per voltare pagina. Il tempo del raccoglimento riflessivo non è mai perso: al contrario, è tempo necessario per prendere coscienza di ciò che abbiamo, accontentandoci di ciò che siamo. Questo stato di coscienza nel presente mi permette di nutrire i semi del rinnovamento creativo. Per fare la mia nuova musica posso iniziare apprezzando l’attesa del momento più adatto ad affermare una mia idea nuova. La qualità del momento presente dà al compositore la possibilità di gioire alla futura sorpresa, quando starà scrivendo, forse, la prossima suite.

La musica è un luogo retto da regole naturali di relazione, come quelle matematiche tra le altezze, quelle qualità sonore che percepiamo come note. Nella filosofia musicale di Mazzarino “la bellezza è il contorno alle regole naturali di relazione”. La musica è relazione: tra mondo ideale e terreno, tra musicisti, tra compositore e arrangiatore, e tra generi musicali. Di tutte le forme d’arte è certamente quella che più incarna il senso della relazione.

La relazione implica la fiducia, e cioè quella qualità che mi permette di essere libero mentre suono. Sono libero se posso essere concentrato sullo strumento, sapendo che chi suona con me è altrettanto rispettoso di se stesso, del gruppo: infine della musica. La fiducia è tratto essenziale che devono avere i musicisti gli uni nei confronti degli altri, e anche di tutti gli altri collaboratori, come arrangiatori e tecnici. Un’opera crea un dramma quando ti sa trasportare dentro il suo mondo, che ha le stesse regole che governano ogni relazione tra gli uomini.

Piazza è il brano dedicato a Piazza Armerina, città natale del protagonista. Egli dice che “la piazza è il luogo in cui la gente s’incontra a sperare un mondo migliore”. Le riprese ci mostrano come Mazzarino, nell’esporre il tema così lirico e drammatico con la mano destra, non riesca a trattenere la sinistra dal fare segretamente il gesto della direzione d’orchestra. Mazzarino dirige forse nel suo intimo questo pezzo che unisce le genti, il nord con il sud, perché esiste una verità: essi non sono diversi, e sanno parlare la stessa lingua.

Notturno è un brano di musica classica, suonato in piano trio. È una melodia che ha un non so che di sacro: parla al cuore attraverso quella che Mazzarino definisce forza triadica, la forma armonica più semplice, che è diretta ed efficace…forse, infine, voleva dire che è vera.

Piani Paralleli inizia con un’introduzione classica di soli archi, che ricorda il suono del celebre Gershwin’s World di Herbie Hancock. Il brano che dà il titolo al film ha la tipica energia di brano conclusivo, una summa dei temi e delle idee prima esposte negli altri pezzi, con una coda finale ritmicamente molto incalzante, che fa davvero immaginare l’emozione del viaggio e del movimento, così come le immagini mostrano l’uscita in automobile dalla Fazioli. Questo vuol essere senza dubbio un finale felice, solare, come lo sono tutte le armonie, complesse ma sempre molto aperte ed eleganti, suonate sull’ormai caro Mago Merlino. Piani Paralleli rappresenta il dialogo, il momento in cui le regole del jazz e della musica classica si escludono, perché vanno a definire delle regole terze. C’è un parallelo tra le genti, le opere, i linguaggi e le epoche. Tra jazz e classica tutto era già scritto nel momento della loro nascita. La musica trattiene in sé lo stimolo a essere una, ad evolversi attraverso l’incontro e la sensibilità. I suoni e le idee, lo spunto momentaneo e il vissuto passato, i colleghi e gli allievi: questi sono i piani che Mazzarino riconosce come occasioni d’incontro. Parallele sono le linee che non s’incontrano mai alla loro fine (secondo la geometria euclidea) e proprio per questo sanno dialogare e nutrirsi a vicenda delle novità. Dice Mazzarino che paralleli sono i piani della cultura, che è una, perché nasce dall’integrazione; i piani della musica, che è una, e qui dà una soluzione a quel vetusto e arido binomio tra jazz e classica eterni rivali. Paralleli sono i piani della vita, che è una. Buona visione, e buon ascolto.



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