Walter Siti e il mito Pasolini

Resoconto attardato della tavola rotonda berlinese del 2005 sull’intellettuale friulano

 

 

Pasolini un mito? Sì, purtroppo. È su questa nota che ha concluso il suo intervento Walter Siti, curatore pei Meridiani dell’opera omnia dello scrittore ed invitato dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino a spiegare le ragioni del perdurante successo del poeta di Casarsa. L’Ufficio Cultura dell’Ambasciata d’Italia ha  voluto mettere al centro delle manifestazioni organizzate per la V Settimana della Lingua Italiana nel Mondo la celebrazione dello scrittore assassinato il 2 novembre di trent’anni fa, chiamando a raccolta docenti universitari, critici cinematografici, registi teatrali e traduttori, che hanno dato vita presso il Deutsches Historisches Museum di Berlino alla tavola rotonda Il Mito Pasolini. Germania e Italia a confronto.

 

 Il dibattito, moderato dallo studioso di cinema Claudio Siniscalchi, ha visto Pier Paolo Pasolini paragonato nel corso della serata al don Milani “amico degli umili”, al Giordano Bruno che paga in prima persona il coraggio di dire liberamente ciò che pensa e al Che Guevara ‘icona pop’. Siti ha fatto esplicitamente riferimento all’idea di Roland Barthes che si abbia mito quando significante e significato diano insieme vita a un nuovo significante, a un’ immagine, a un’ icona, come può essere appunto una fotografia del Che. L’icona di Pasolini si fa mito in quanto comunica senso anche a chi non ne abbia una conoscenza diretta dell’opera, e questo processo di mitificazione ha sei componenti. La poesia assassinata dalla società:hanno ucciso un poeta, come disse a caldo Moravia ai funerali di Pasolini, e ciò ci vendica della spoetizzazione del mondo, sgravandoci dalla corresponsabilità in un fenomeno di tale portata; la certezza che esistono i profeti, anche se Pasolini – che pur ha  sempre rilevato con grande prontezza quello che stava già accadendo  ̶  non ha in realtà previsto nulla o ha sbagliato previsioni (la felicità comunista nella Russia degli anni Novanta; la ventura morte della religiosità, …); il coraggio delle proprie idee, fino alla morte, perché è bello avere a disposizione un martire, qualcuno che si fa portavoce e modello eroico in vece nostra;  basta la passione per capire, e leggere i libri quindi non serve: venerare l’icona di Pasolini esenta dallo studio e dall’interpretazione della sua opera; apparentemente paradossale in un paese sostanzialmente omofobo come l’Italia è la quinta componente: l’omosessualità esemplare. Pasolini disprezzava gli omosessuali effemminati, non era un militante dei diritti gay, insomma sapeva “stare al suo posto” e, soprattutto, “l’ha pagata” e ci si può sentire a lui superiori. La sesta componente è la testimonianza che si stava meglio prima. Quanto erano adorabili i sottoproletari di Pasolini, mentre quanto schifo fanno quelli di oggi! Pasolini inoltre piace a tutti, è bipartizan, è amato per diversi motivi a destra – lui per la disciplina, lui atletico e sportivo, che parteggiava per i poliziotti e non per i capelloni  ̶  così come a sinistra, visto che si dichiarava comunista, era omosessuale, e si batteva contro il potere e la società borghesi. È un mito infine anche per chi lavora nella comunicazione, modello di giornalismo d’inchiesta oltre che grande corsivista. Col mito Pasolini, però, si vuole coprire la critica che negli ultimi anni lo stesso riservava alla cultura umanistica, mentre di lui si vuole privilegiare una percezione più datata e generazionale. A causa del mito Pasolini si rischia dunque di non fare lo sforzo di rispondere alla domanda sottesa a tutta la sua produzione: “Perché vivere?”.

 

Una domanda che i suoi pezzi teatrali, ha ricordato il regista Antonio Latella,  pongono direttamente al pubblico, aiutandolo a ragionare con gli strumenti di una lingua italiana altissima, seppur talmente viva e vera da sembrar fatta anche di carne, di sangue e di sperma. Una lingua che il traduttore di Petrolio e di Ragazzi di vita Moshe Kahn trova particolarmente complesso rendere in tedesco, sia per ragioni lessicali che a causa della presenza del dialetto. L’Italia è infatti, a differenza della Germania, il paradiso dei dialetti, e alcuni tra essi come il Siciliano, il Veneziano e lo stesso Friulano hanno una morfologia, un vocabolario, una sintassi loro proprie. Sono dunque vere e proprie lingue, con dignità letteraria, e come tali devono essere maneggiate per salvaguardare la sostanza e la forza dell’originale. Altrimenti resta solo il gergo, e viene meno il mondo evocato. Se si tratta poi di rendere il particolare tipo di romanesco parlato nelle borgate, è preferibile ricorrere a varietà del tedesco, come il berlinese, che a un vero e proprio dialetto come il francone, già usato da qualcuno per tradurre, con esiti discutibili, la variante triestina dell’italiano del Saba di Ernesto.

L’importanza del dialetto nell’impegno del letterato Pasolini è stato messo in evidenza anche dalla docente di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Trieste Cristina Benussi, che ha ricordato come fin dal ’44 con lo Stroligut di ca da l’aga Pasolini abbia tentato di riscattare il Friulano da una sorta di ‘preistoria poetica’, facendogli abbandonare lo stato di natura in cui languiva per prendere coscienza di sé stesso. Prima con il friulano, poi con il romanesco di borgata Pasolini avrebbe voluto creare un nuovo volgare che celebrasse l’ingenuità del popolo e la sua carica vitalista. A partire dall’esperienza di Officina, che rende esplicito il valore sociologico di questa sorta di  progetto dantesco, viene ribadita la ricerca di auroralità, che dalla piazza di Casarsa giunge attraverso le borgate romane ai ragazzini africani riprodotti fotograficamente nella Divina Mimesis. Vi è in Pasolini un rancore mai sopito nei confronti della modernità, colpevole di conformismo e anonimato, cui viene contrapposta quella che ne’ La Guinea viene chiamata la ‘negritudine’. Ancora nel 1975, in uno Scritto corsaro, Pasolini parlerà della tragedia della perdita del dialetto, sintomo della sconfitta delle periferie, quindi degli umili, nella lotta contro i centri (del potere).

 

Che sia il Pasolini più politico, eretico e controcorrente  quello che colpisce di più l’attenzione del pubblico tedesco l’ha testimoniato Birgit Haustedt, scrittrice e già docente a Marburgo come pure a Salerno. Poeta, narratore, drammaturgo, regista, giornalista, militante politico, uomo scandaloso nella vita, nelle idee, nella morte. In Italia un mito. In Germania la diffusione delle opere di Pasolini avviene a partire dal momento della sua morte. Fanno clamore il romanzo Una vita violenta e  film come Accattone e Teorema. Fa scandalo la sua sessualità. Crea imbarazzo il titolo Salò, che la distribuzione tedesca cancella a beneficio del solo sottotitolo Le 120 giornate di Sodoma. Ciò che colpisce di più insomma in Germania è, al di là dell’opera, la persona Pasolini, il suo ruolo di rottura, il comunismo, l’omosessualità. In nessun altro paese europeo vi è stato negli ultimi trent’anni un tale interesse per l’autore italiano, e grazie a Pasolini è aumentata l’attenzione per la letteratura italiana contemporanea nel suo complesso, testimoniato dalla pubblicazione di  scrittori come Penna e Magris. Anche la biografia di Enzo Siciliano ha riscosso molto successo, e nel 1989 proprio a Berlino in un congresso a lui dedicato Duccio Trombadori ha fatto conoscere il Pasolini politico.

 

La serata si è conclusa con la proiezione di alcuni documenti filmici forniti dal Fondo Pasolini: scene girate con la Callas sul set di Medea, il documentario del ’74 La forma della città e l’ultima intervista, realizzata per la TV francese nell’imminenza dell’uscita di Salò e a pochi giorni dalla tragica scomparsa dell’autore. Riguardare queste sequenze ha dato in parte ragione a Walter Siti, nel senso che si provava davvero quel particolare tipo di emozione che ci tocca al cospetto delle figure carismatiche. Ma nel contempo gli dava torto, tanto forti risultavano le immagini del Pasolini regista, tanto pregnanti le sue riflessioni morali, tanto icastico lo stile della sua prosa. E Pasolini  appariva davvero un mito, per fortuna.



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