“A voi tutti, ecco un arnese”
– la sentii dire una volta –
“su, venite più vicini,
il suo nome è passaporto.”
Sventolava un foglio opaco, usato,
se non fosse stato in mano sua,
l’avrei scambiato per carta straccia.
Come un ragazzino dopo una vittoria a biglie,
ne aveva le tasche piene
– uno dopo l’altro, li tirava fuori.
Su di essi stava scritta
un’autorevole e fitta raccolta di informazioni:
americana, italiana, francese,
multilingue senza paese,
vera cittadina del mondo,
viaggiatrice, pellegrina, forestiera
vera straniera ovunque si trovasse.
La sua cartina, traslocata di cucina in cucina,
si estendeva all’intero globo.
Il suo giogo fu di non trovare
– seppur di cercare non smise mai –
un unico punto fisso, a lei accogliente
dove si sentisse, finalmente,
a casa.