«Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos». Il monito di Eraclito risuona ossessivo tra i miei pensieri, dopo lo sconcerto e la tristezza provocati dalla notizia della scomparsa improvvisa di Pasquale Picone.
In quale stadio di quel cammino di conoscenza si troverà adesso?
La sua vita e la sua morte sono stati uno strenuo corpo a corpo con l’anima, la sua, quella degli altri e quella dei luoghi, in uno sforzo di comprensione che rendesse possibile guarirne e prevenirne le ferite.
Aveva iniziato questo percorso come infermiere nell’Ospedale psichiatrico civile “S. Maria Maddalena” di Aversa e poi, dopo la laurea in Filosofia con indirizzo psicologico all’Università “Federico II” di Napoli, lo aveva proseguito come operatore del Laboratorio di Psicologia clinica e Psicodiagnostica.
Nel frattempo: studi, ricerche, docenze nei vari campi della psicologia e un percorso di formazione come psicoanalista junghiano nell’ambito dell’A.I.P.A. - Associazione Italiana di Psicologia Analitica, prima di arrivare nel 1985 a Viterbo come docente di Filosofia e Scienze Umane all’Istituto Magistrale “S.Rosa”, dove ci siamo incontrati e conosciuti.
L’istituzione psichiatrica e quella scolastica, nelle quali aveva svolto il suo impegno di lavoro, gli apparivano luoghi privilegiati per osservare la dialettica tra controllo e liberazione, che riteneva rappresentata magistralmente in due film che amava spesso richiamare: Qualcuno volò sul nido del cuculo e L’attimo fuggente.
A Viterbo, come il pellegrino di Mario Luzi, aveva provato anche lui l’esperienza di sentirsi «nuovo di queste vie, ma non straniero» e aveva «chiesto asilo e molto supplicato d’esser preso a farne parte». Nel capoluogo della Tuscia aveva radicato la sua esistenza e concluso la carriera scolastica come Dirigente dell’IISS “F.Orioli”.
Per Viterbo e la Tuscia nutriva un amore profondo e ostinato, avendo ritrovato nel patrimonio filosofico ed artistico di questa terra lo specchio della propria individuale psicomachia e, più in generale, le motivazioni per impegnarsi nell’eterno conflitto tra «un sapere insterilito, gravoso, forzatamente serio e un sapere vitale, leggero, ilare e promotore di piacere».
Come fondatore e presidente della Società Filosofica Italiana – Sezione di Viterbo, aveva dedicato un lavoro rigoroso e appassionato a riportare alla luce l’originale tradizione spirituale della Tuscia, di cui coglieva il filo rosso nella concezione della filosofia come cura dell’anima e nella vocazione delle sue espressioni più alte a confrontarsi con il novum che feconda il tempo storico. Una tradizione che si era espressa nella tarda antichità con lo stoico Musonio Rufo, «Etrusco» e «Socrate romano», per poi svilupparsi in ambito cristiano medievale con Bonaventura da Bagnoregio e infine sfociare nell’ermetismo e nel cabalismo dell’umanista Egidio da Viterbo, esponente insigne della fase di rinascimento spirituale della cosiddetta Ecclesia viterbiensis.
Accade spesso che l’essenza di un luogo, oltre che di un’esistenza, si sveli più a fondo ad uno sguardo che provenga dal di fuori o che sappia assumere un punto di vista altro rispetto a quello abituale, compiendo quel movimento di dislocazione prospettica che è poi il meccanismo generatore di ogni utopia.
Viterbo cittadella di sapienza non era soltanto il titolo dell’evento di assoluto rilievo culturale che Pasquale Picone, con la Società Filosofica, realizzò nel 2006. L’espressione dava anche il nome alla sua personale utopia: un progetto di rinnovamento della coscienza e del costume civile, rivolto a Viterbo e alla Tuscia, da fondare sul recupero di una profonda, quanto negletta, anima riformatrice.
La trasognata amarezza che accompagnava l’ultimo periodo di vita di Pasquale è la nota emotiva che rivela, meglio di ogni altra cosa, lo scarto che sempre intercorre tra la forza visionaria dell’idea e la prosaicità di cui può essere capace la realtà. Una situazione emotiva che poteva anche accentuare le asperità di carattere, o forse le fragilità, di un’anima comunque generosa; complessa perché autentica e vera.
Mi piace ricordarlo così, e fargli dono – perché valga come estrema consolazione per ognuno di noi – di una citazione da L’arte della memoria della sua amata Frances Yates: «Ma la storia realmente accaduta non è tutta la storia … . Le speranze mai realizzatesi … hanno forse la stessa importanza degli eventi accaduti».