Dal dicembre 2014 tutti i mezzi di comunicazione hanno focalizzato la propria attenzione su un tema ritenuto centrale nella vita degli italiani: l’olio di palma. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un cambiamento di comportamento da parte delle più grandi aziende alimentari, le quali hanno deciso di rimuovere questo ingrediente dai propri prodotti per far fronte alle richieste sorte dai consumatori. Altri brand, come Ferrero, hanno deciso di continuare la loro commercializzazione enfatizzando la sostenibilità e la qualità dell’olio di palma utilizzato attraverso nuovi spot e pubblicità. Le ragioni che hanno spinto i consumatori a voler ingredienti diversi all’interno dei prodotti e che di conseguenza hanno quasi costretto le imprese a innovare le ricette riguardano la buona o cattiva qualità del grasso di palma, il tema della sostenibilità per le foreste, gli animali e i diritti dei lavoratori. L’olio di palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo in quanto presenta una resa cinque volte maggiore rispetto agli altri oli vegetali, e inoltre, grazie alle sue caratteristiche chimico-fisiche, è perfetto per la preparazione di alimenti di tipo industriale. L’Indonesia e la Malesia sono considerate i leader mondiali per l’esportazione di questo prodotto; nel 2008, in questi due paesi, la produzione di olio di palma ha raggiunto le 48.000.000 tonnellate e le previsioni riportano che entro il 2020 la richiesta della materia prima duplicherà. Ciò che ha consentito di dare voce ai cittadini per quanto riguarda le lamentele e le preferenze sugli alimenti, è stata la rete. Attraverso social networks e blog è stato possibile uno scambio significativo di idee e di opinioni, che ha permesso una risposta quasi immediata da parte delle aziende. Del resto la pubblicità e il marketing rappresentano uno degli aspetti fondamentali per la vendita dei prodotti.
La psicologia della pubblicità non può essere considerata una disciplina “chiusa” perché “costretta” dalla realtà a un’ininterrotta apertura al cambiamento. La concezione e la percezione dei brand e della società da parte del consumatore è stata fondamentale per il cambiamento della pubblicità negli anni e gli stili di vita dei consumatori sono alla base della pubblicità e costituiscono un aspetto cruciale per la loro segmentazione.
Per lungo tempo gli stili di vita dei consumatori e il conseguente cambiamento delle mode alimentari è stato analizzato facendo riferimento alle tesi di Thorstein Veblen in Teoria delle classi agiate. Veblen, analizzando la società di fine ‘800 negli Stati Uniti d’America, ha teorizzato che alla base di ogni forma di proprietà vi è il desiderio di imitare sempre di più la ricchezza altrui per raggiungere un maggiore livello di notorietà e ammirazione, fornendo così un’argomentazione teorica importante per sostenere che i fenomeni di consumo si attuano grazie a un processo top-down, dove il processo imitativo delle élite rappresenterebbe il propulsore dei consumi di massa.
È importante sottolineare però che gli studi delle tendenze oggi vengono fatti tenendo presenti anche i fenomeni bottom-up, grazie a figure professionali come il trand-hunter e lo street-watching. Il primo, operando sul terreno, compie un’analisi in luoghi significativi raccogliendo item d’informazione, il secondo invece, riflette il vasto osservatorio dei media come canali televisivi, giornali, riviste, film, mostre, sfilate e esposizioni.
Il fenomeno in atto, legato all’olio di palma, sembra dire che siamo di fronte a un cambiamento significativo, visto che il comportamento delle aziende è piuttosto descrivibile non solo come fenomeno bottom-up legato ai comportamenti, ma come fenomeno di natura regolativa, smantellando il sincretismo fra rules and regolations.
Gli aspetti che emergono descrivendo il processo comunicativo delle aziende, su un argomento delicato come quello dell’olio di palma, è infatti quello relativo alla responsabilità sociale d’impresa e all’etica della comunicazione. Una delle più influenti definizioni su questo tema è quella che proviene dal Consiglio Europeo (2000), secondo il quale un’impresa responsabile cerca di integrare all’interno delle proprie dinamiche aziendali uno sviluppo sostenibile volontario dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. La responsabilità sociale d’impresa può essere così considerata un fenomeno bottom-up, poiché si manifesta grazie alla sensibilizzazione del consumatore rispetto a un determinato tema, e non solo per una presa di posizione del management aziendale. Alla base della responsabilità sociale d’impresa si trova il concetto del “boicottaggio del consumo”, il quale consiste nell’interruzione temporanea dell’atto di acquisto di un prodotto da parte del consumatore nell’attesa che l’azienda in questione modifichi la propria condotta relativa a un determinato tema. Il boicottaggio del consumo è una delle numerose sfide che l’azienda contemporanea si trova ad affrontare in quanto vi è una crescente attenzione del consumatore nei confronti del mondo delle imprese e del loro comportamento.
La questione dell’olio di palma ha rivelato la forza della “presa di coscienza” da parte dei consumatori, rivelando in modo paradigmatico come l’atto di consumo faccia parte dell’agire sociale e non sia esclusivamente un atto a beneficio del singolo individuo. E in questo specifico caso possa essere chiamato in causa il “consumo critico o responsabile”. Il concetto di responsabilità sociale d’impresa, come fenomeno bottom-up, è da considerarsi un fenomeno che molto probabilmente farà scuola anche su altre tematiche, infatti, i termini “impresa responsabile” e “consumo responsabile” sembrano viaggiare di pari passo e possiamo affermare che esiste un nesso causa-effetto fra il comportamento delle imprese e quello dei consumatori, invertendone, a partire dall’olio di palma, però la relazione causale.
Non c’è dubbio che il “consumo responsabile”, o meglio, il “consumo critico” ha reso noti, diffondendoli anche grazie alla rete, i “misfatti” di molte multinazionali, provocando spesso un consistente danno d’immagine alle stesse costringendole ad acquisire una certa consapevolezza delle proprie azioni; tanto che possiamo trovare siti web che riportano liste “nere” vere e proprie con i nomi delle aziende da boicottare, e naturalmente le motivazioni per le quali è necessario un intervento da parte dei consumatori.