All’Università di Genova si è svolto recentemente un convegno dedicato a “Gian Pietro Lucini autore della modernità” e organizzato dai professori Marco Berisso, Livia Cavaglieri, Manuela Manfredini. Si è trattato di un convegna che meritava e merita attenzione già solo per il fatto che è la prima volta che l’accademia ha rivolto la sua attenzione al poeta milanese (1867-1914), quasi sempre negletto o mal giudicato dalla storiografia ufficiale. Del resto, non era un accademico Glauco Viazzi, lo studioso più esperto dei libri e delle carte di Lucini. Mentre lo era, anche se in modo non tradizionale, Edoardo Sanguineti, fermo sostenitore della “modernità” di questo scrittore. Altro aspetto degno di nota del convegno è che soltanto due dei relatori (oltre a chi scrive) erano dei “veterani”, peraltro ancora giovani, Pier Luigi Ferro e Manuela Manfredini, tutti gli altri essendo studiosi, provenienti da diverse Università e da alcuni Licei, che si sono cimentati per la prima volta con le opere luciniane. Assai diversi l’uno dall’altro i temi affrontati, come si conveniva a un intellettuale e a uno scrittore come Lucini, attivo in diversi settori della cultura del suo tempo: poesia, narrativa, critica e storiografia letteraria, teatro. Tutte di buon livello le relazioni, con non pochi risultati veramente innovativi.
Il filologo Marco Berisso ha proposto l’edizione critica di L’ora topica di Carlo Dossi, che è indubbiamente fra le opere saggistiche più interessanti di Lucini. Francesco Sberlati si è soffermato invece su un tema inedito come Lucini e la poesia dei trovatori. Quanto a Pier Luigi Ferro, egli ha scelto di discutere della “cristologia eretica” di Lucini, mentre Francesco Muzzioli, che, come è noto, è fra i più apprezzati studiosi di teoria della letteratura, ha dedicato la sua attenzione a Lucini: tre soglie per una Academia. Allo scrittore che era al tempo stesso un erudito si è rivolta Lia Raffaella Cresci con un dotto intervento su Fonti greche della “Piccola Chelidonio”:prime ipotesi. Poiché non poco di “teatrale” è nella scrittura poetica di Lucini, e poiché egli è autore anche di un’opera di teatro, era giusto non trascurare il rapporto che con il teatro egli ha intrattenuto, sollecitando l’attenzione di Livia Cavaglieri, autrice della relazione Lucini e la scena? Dal canto suo Manuela Manfredini ha riletto con acuta sensibilità il capolavoro poetico di Lucini, Revolverate, titolo che, come si sa, Marinetti ha fatto prevalere sul luciniano Canzoni amare (1909). Un tema luciniano molto caro a Sanguineti è “l’antimilitarismo”, al convegno trattato vivacemente da Erminio Risso, eccellente esegeta della poesia dello stesso Sanguineti. Gian Luca Picconi ha infine chiuso il convegno con una relazione “tangenziale” a Lucini: Le“Cannonate”di Fedoro Tizzoni.
Nell’impossibilità di riferire in modo più adeguato su ciascuna relazione, mi limiterò a indicare brevemente, fra vari argomenti toccati, ciò che più mi premeva segnalare agli studiosi più giovani. In un saggio di magistrale acribia dedicato all’”espressionismo letterario” (oggi lo si legge in Ultimi esercizi ed elzeviri, Einaudi 1988), Gianfranco Contini ha mostrato che non solo esiste un espressionismo poetico italiano, ma che esso può vantare poeti quali Clemente Rebora, Giovanni Boine, Arturo Onofri. Rileggendo quel saggio, a me è sembrato che, stando agli aspetti illustrati dallo stesso Contini, anche Lucini possa non immeritatamente essere annoverato fra i poeti espressionisti italiani. E valga il vero. Mi sono limitato a un assai parsimonioso sondaggio nel territorio di Revolverate, raccomandando agli studiosi più giovani di approfondire ciò che io ho rapidamente sfiorato. Giovandosi anche di certe nozioni di Spitzer, Contini è partito dalla premessa che gli stili espressionistici si caratterizzano in primo luogo per lo scarto dalla norma, e più precisamente per la violazione delle comuni regole grammaticali. Precisando che mentre gli impressionisti si appoggiano prevalentemente sull’aggettivo, gli espressionisti nelle loro forzature prediligono invece la “categoria grammaticale” del verbo. Con ciò che di segnatamente fruttuoso ne segue. Osserva, in particolare, Contini, esaminando l’espressionismo del Joyce di Finnegans Wake, che lo stile dello scrittore irlandese ha fra le sue caratteristiche “la pluralità linguistica […] entro una sola lingua”, “la plurilingue torsione espressiva”. E’ allora impossibile non ricordare, tacendo di altri aspetti, che è proprio il plurilinguismo a distinguere Lucini (Pascoli a parte) dagli altri poeti italiani del tempo: chinoiseries, cabinet particulier, souteneurs, jokeys, bookmakers, chamois-chaudron, blanc-glacé, rocailles, steeple-chase, financiers, mac-benac, vermeilles, modern style, ecc. Nota ancora Contini che in Gadda vi è “la presenza discontinua dell’articolo li”. In Lucini, occorre allora osservare, la presenza di tale articolo è continua: li inchini, li anelli, li avi, li Armeni, li Ebrei, li avvisi, con il prolungamento nella preposizione articolata: delli sgherri, dalli entusiasti, nelli arazzi, alli Abissini. Ma, se stiamo alle indicazioni di Contini, è soprattutto la particolare scelta del verbo a segnalare in Lucini una impressionante “torsione espressiva”: impomatato, corruscano, intumidirsi, incubata, scutrettola, fremitano, stelleggia, tutti i galli… sgolan fanfare, schiumeggian le spesse ciniglie, la serenata aspra s’arroca, sfiammavano insanguinando il verde / garofani plebei, ecc. Partendo da questi forse scarni ma certo significativi dati è possibile, io credo, giungere a esiti totalmente persuasivi.