L’estetica dell’audiovisivo amatoriale si configura come una disciplina magmatica, caratterizzata più da spinte eterogenee e centrifughe che da impulsi omogenei e centripeti. L’estetica dell’audiovisivo amatoriale, insomma, come disciplina di ardua definizione in cui non prevale un indirizzo teorico ben delineato, ma più percorsi di ricerca; un’estetica anomala, le cui difficoltà emergono già dall’orizzonte tassonomico di riferimento, come se gli stessi oggetti del suo sapere fossero per loro natura instabili e sfuggenti. Queste difficoltà costituiscono la migliore prova di un disorientamento che, a ogni proposizione, a ogni concetto formulato, rende le teorie potenzialmente contraddittorie: la comparsa di simili oscillazioni speculative, infatti, non viene posta solo all’interno del rapporto tra gli insiemi teorici, ma anche tra i concetti di una medesima teoria.
Tale sfrangiamento complica ulteriormente le possibili strategie di ricerca dello studioso. Proponiamo qui tre concetti chiave, i quali rappresentano il fulcro di tre linee di ricerca riconducibili a un unico intento, ovvero legare al concetto di pratica quello di prodotto, facendo parallelamente riferimento ai contesti di elaborazione e di fruizione di quest’ultimo: teoria della storia del cinema privato, teoria del controarchivio cineamatoriale e studio delle pratiche amatoriali come metateoria del cinema privato.
Il primo punto connette inscindibilmente la redazione della storia dell’audiovisivo amatoriale con la riforma dei concetti cardinali su cui si fonda la storia del cinema. Alla storia delle grandi produzioni, dei registi e dei film si sostituiscono altre pietre angolari: la rappresentazione della quotidianità, l’importanza degli strumenti tecnologici, la competenza del cineamatore e la pervasività della costruzione discorsiva a cui le pratiche amatoriali soggiacciono. In altri termini, la storia dell’audiovisivo amatoriale non va considerata come una “piccola storia” all’interno della “grande storia” dell’immagine in movimento, ma come una differente dimensione storica al cui interno vige un peculiare ordine.
Il secondo punto afferisce direttamente a quest’ultima proposizione. Nel momento in cui poniamo un particolare ordine storico a governo dello studio dell’audiovisivo amatoriale, ci troviamo davanti ad altrettanto particolari criteri di selezione. Che cosa fa parte dell’insieme che sto tentando di descrivere? Quali sono i criteri discorsivi che permettono l’individuazione degli oggetti delle mie descrizioni? Se decidessi di costituire un archivio di immagini amatoriali, come sarebbe strutturato? In questo senso, il concetto di archivio si configura foucaultianamente come principio di enunciabilità, come legge fondamentale che regola i criteri discorsivi legati al riconoscimento degli oggetti osservati, come norma di ciò che può essere detto riguardo all’amatorialismo audiovisivo. Descrivere le modalità d’archivio significa, dunque, stabilire se esista una regola per la produzione di pellicole e tape amatoriali, come tale regola si strutturi, tramite quali mezzi si diffonda tra i cine-videoamatori e, soprattutto, quali elementi escluda. Il concetto di archivio, inoltre, sia dal punto di vista di Foucault sia dal punto di vista di Derrida, autori citati anche nel saggio “Morphing History into Histories. From Amateur Film to the Archive of the Future” di Patricia Zimmermann, riconduce a una stratificazione di rapporti di potere. Se per Foucault il loro esercizio avviene tramite la designazione di una legge di enunciabilità in cui si identifica il principio archiviale, per Derrida essi rimandano a una specifica strutturazione, il potere arcontico, che stabilisce non solo che cosa appartenga all’archivio, ma anche le condizioni della sua interpretazione. Poiché la storia dell’audiovisivo amatoriale implica l’esistenza di una dimensione “altra” (rispetto al film di fiction, per esempio) e poiché l’archivio costituisce la legge in base alla quale elaboriamo i nostri discorsi, quando trattiamo dell’archivio cine-video-amatoriale non possiamo esimerci dalla constatazione della relazione dialettica che esso stabilisce con il cinema mainstream e con il suo archivio. Quest’ultimo rappresenta la legge di enunciabilità delle pratiche cinematografiche adottate dall’industria, ossia quelle pratiche che, nel corso della storia dell’immagine in movimento, seppero designare una tradizione e imporre le proprie modalità a tutte le sue emanazioni.
Tali modalità inglobarono nel loro ambito anche le pellicole amatoriali. Per molti anni, infatti, le riviste specializzate indicarono come regole le consuetudini organizzative ed estetiche del cinema mainstream, incontrando, soprattutto nel secondo dopoguerra, una forte opposizione da parte di quei filmmaker sperimentali che consideravano l’amatorialismo come il nucleo di una nuova sensibilità cinematografica e, più tardi, da parte di studiosi che riconoscevano all’amatorialismo un valore autonomo rispetto al cinema più conosciuto. Il tema dell’opposizione tra le due leggi di enunciabilità, tra questi due archivi, porta a evidenziare come le pratiche dell’amatorialismo video-filmico fondino un’altra storia dell’immagine in movimento, una storia che, come un fiume carsico, scorre surrettiziamente e che, quando emerge a visibilità, genera anse in cui le sue acque incontrano quelle dei media mainstream. Per questo motivo non riteniamo corretto parlare di opposizione assoluta tra i due orizzonti. Si tratta, come abbiamo già notato, di un’opposizione dialettica, di un movimento in cui le pratiche si distinguono e si confondono, in cui le sintesi generano nuove opposizioni: dal film al film privato, dalla cineteca al controarchivio cineamatoriale.
Il piano controarchiviale, il piano di definizione delle pratiche marginali che consentono l’elaborazione di film privati e la riflessione su di essi, rappresenta il grado zero di qualsiasi operazione che riguardi la dimensione amatoriale. Sia a livello di ripresa sia a livello di elaborazione teorica, il punto di avvio afferisce a condizioni di possibilità che situano l’operatore e il saggista in opposizione dialettica con la dimensione dei media mainstream. Ciò avviene indipendentemente dalla consapevolezza dei propri atti da parte delle individualità coinvolte. Il motivo di ciò richiama direttamente il contesto di produzione delle immagini. Poiché il film e il video amatoriale sono fruibili solo all’interno di circuiti privati o semi-pubblici, non vi potrà mai essere la verifica dell’attuazione dei postulati discorsivi. In altri termini, non saranno mai applicabili sanzioni per il mancato rispetto delle leggi del discorso. Il potere di controllo, in termini derridiani il potere arcontico esercitato dall’industria mediale, si configura, qui, come un potere menomato, come un esercizio di autorità che non giunge mai a completezza perché si scontra con l’impossibilità di vedere – impossibilità, al contempo, metaforica e letterale – i prodotti video-filmici. Il problema dialettico investe il rapporto tra media mainstream e media amatoriali perché è intrinseco all’universo delle pratiche amatoriali: da una parte il regime discorsivo, che, fino agli anni Sessanta e Settanta, fino al periodo, cioè, in cui vennero pubblicate le teorizzazioni di Brakhage, Deren e Mekas sull’amatorialismo e in cui cominciarono a circolare i primi studi accademici sugli home movies, impose monocraticamente, attraverso le riviste specializzate, il modus operandi dell’industria; dall’altra la massa, che si appropriò delle tecnologie più che delle tecniche e che, nei casi più felici, tradusse a seconda della contingenza ciò che era stato pensato per gli studi cinematografici. Ciò non toglie che molti cineamatori tentassero di imitare ciò che vedevano sugli schermi dei cinema. Ma le differenze tecniche ed estetiche, messe tra parentesi per questioni di marketing – chi investirebbe denaro in un apparecchio che non conservasse niente di quell’alone magico che circonda i prodotti cinematografici? – non potevano non porre agli “spettatori domestici” la radicale alterità dei prodotti privati: al di là delle specifiche abilità dei singoli amatori, al di là della trasformazione della famiglia in una piccola troupe, il contesto e le pratiche di produzione erano troppo differenti perché il risultato potesse lontanamente assomigliare a un film mainstream.
La dimensione controarchiviale assume in sé, dunque, i tratti generali del piano di riconoscimento dei prodotti cine-videoamatoriali. La loro alterità costituisce il principale carattere che, a livello intersoggettivo, evidenzia la loro condizione di esistenza. Da ciò deriva un elemento di focale importanza: poiché il fulcro del discorso muove verso la descrizione di condizioni di esistenza e l’indagine del riconoscimento intersoggettivo delle pratiche e dei prodotti, quell’impostazione teorica che si occupa del regime controarchiviale diviene la teoria di base su cui, in seconda istanza, si innestano le strutture analitiche e le ibridazioni disciplinari. Ne sortisce una teoria che pone elementi di positività affinché, in un secondo momento, l’analisi antropologica, semiotica, sociologica e storiografica completi il quadro scientifico. In questo senso – ecco il terzo punto –, dobbiamo parlare di studio delle pratiche amatoriali come metateoria del cinema e del video amatoriali, ossia come cornice di base a cui si applicano i risultati di studi teorici legati a più campi disciplinari.
Poiché, come E.B. Taylor, intendiamo con cultura quell’insieme complesso che include qualsiasi capacità «e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società», lo studio delle pratiche amatoriali, in quanto metateoria che prende avvio dalla descrizione di condizioni di esistenza e dall’indagine del riconoscimento intersoggettivo delle pratiche e dei prodotti, si declina come studio di pratiche culturali: concerne capacità e abitudini acquisite dall’uomo che vengono alimentate dalle sue abilità nella costruzione di reti sociali; capacità e abitudini che, correlativamente, istituiscono le basi per qualsiasi interazione avanzata tra i soggetti e tra le loro produzioni. In altre parole, lo studio delle pratiche amatoriali come studio delle pratiche culturali segna l’accesso del discorso epistemologico a un livello primario, al cui interno è possibile effettuare ulteriori specificazioni teoriche e analitiche. Se desiderassimo completare il ragionamento e rendere esplicito ogni suo passaggio, potremmo dedurre che la metateoria dell’audiovisivo amatoriale coincide con lo studio delle pratiche amatoriali come studio delle pratiche culturali: la loro indagine consiste, come abbiamo potuto notare, nella definizione di un campo di ricerca al cui interno sia possibile riconoscere le condizioni di possibilità di ciò che può essere detto – e, quindi, pensato – sull’audiovisivo amatoriale. Ciò ha dirette conseguenze sulle modalità di azione del cineamatore. In sintesi, nel momento in cui descriviamo tali condizioni di possibilità, stiamo dando forma a un discorso che a grandi linee rappresenta dinamiche operative a cui l’operatore può conformarsi o sottrarsi. Si tratta di un ambito generale tanto esteso quanto poco profondo, il cui valore consiste proprio nella superficialità: permette, infatti, che altre impostazioni disciplinari completino il frame teorico, rimandando a strumenti epistemologici più raffinati l’individuazione di oggetti che, altrimenti, rischierebbero di rimanere non-nominabili e, quindi, invisibili.
Appare chiaro, alla luce di quanto affermato, che il principale vantaggio di questa configurazione teorica ne costituisce, al contempo, il principale limite. A causa della concentrazione degli sforzi speculativi sul problema della pratica amatoriale, si perde di vista il tema dei caratteri intrinseci del prodotto mediale. Più è raffinata la riflessione sulle pratiche, sulle loro interazioni e sui rapporti di potere che ne regolano le potenzialità, maggiore è il rischio che il film si riduca a un insieme di segni la cui forma interessa poco se a essi non riusciamo a collegare un contenuto concettuale relativo alle strutture di potere e alle modalità operative seguite dal cine-videoamatore. Il pericolo, insomma, è che il film si trasformi in una riserva di contenuti celati che la forma aiuta a far emergere. Affinché sia possibile conferire ai prodotti cine-videoamatoriali una certa “profondità singolare” (singolarità della forma e delle modalità fruitive) la metateoria dovrà introdurre elementi legati ad altre impostazioni teoriche, in particolare alle discipline della semiotica e dell’estetica del film, dell’audiovisivo e delle arti visive. Una meteteoria che, dunque, si configurerà innanzitutto come polisistema: ecco il modo in cui, dunque, possiamo immaginare l’estetica dell’audiovisivo amatoriale come framework al contempo aperto e definito, flessibile e stabile, polivocale e rigoroso.