13 dicembre 2009. Umberto Eco è ospite di Che tempo che fa per presentare il suo ultimo libro, La vertigine della lista. “A quegli imbecilli che mi chiedono che libro porteresti su un’isola deserta…”, sbotta a un certo punto il professore. La camera stacca per inquadrare il noto conduttore, Fabio Fazio, che con aria sorniona e testa bassa scartabella tra i suoi appunti per cancellare quella che sarebbe stata, confida al pubblico con divertita complicità, l’ultima domanda. Dubito che a quell’episodio specifico si possa ricollegare un’idea che invece ha cominciato a prendere forma successivamente e gradualmente, a mano a mano che la carriera televisiva di Fazio si punteggiava di sempre più ampi e popolari successi. Però l’idea trova oggi, in quel lontano episodio, un inaspettato riscontro: cos’hanno in comune Fabio Fazio e Umberto Eco? Ma certo: Mike Bongiorno.
Lo stimolo a lavorare sull’idea che Fabio Fazio riproponga oggi una versione rivista e corretta, attualizzata e consapevole, dei comportamenti dell’everyman Mike Bongiorno, che Eco analizzava nella sua celebre Fenomenologia, non è venuto meno dopo la recente scomparsa del filosofo, lo scrittore, il professore che tutti abbiamo letto, ascoltato, stimato. Anzi: si è prospettata come occasione anche per rendergli omaggio attraverso uno dei suoi libri “minori”, il Diario, per l’appunto, minimo, raccolta di parodie e pastiche che suona, ancora oggi, sferzante. Ma non è nella direzione dell’omaggio a Eco che vorrei andare, perché la spinta decisiva a sviluppare l’idea viene dall’attualità televisiva, vale a dire dalla scelta di Fazio di riproporre oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, il celebre quiz che Mike ha condotto in Rai dal 1970 al 1974, il Rischiatutto.
A ciò si aggiunga che, proprio qualche giorno fa, Claudio Giunta nel suo blog è intervenuto esattamente sulla Fenomenologia di Mike Bongiorno, a testimonianza forse di un interesse più generale nella ripresa di questo piccolo scritto del 1961. Un piccolo scritto che tuttavia – e qui la mia lettura diverge da quella di Giunta – non considererei nel corpus più ampio dei “saggi sulla società e sulle arti contemporanee (Eco è stato uno dei primi a occuparsi seriamente di generi artistici considerati sino ad allora marginali, come il romanzo d’avventure e il fumetto)”. Perché la Fenomenologia non è un saggio: semmai, come la sua collocazione in Diario minimo dimostra, un virtuosismo letterario, una parodia, un divertissement, un esercizio di analisi applicato all’osservazione del costume. Altrimenti, un saggio sulla poetica di Antonioni dovrebbe essere considerato anche il maligno commento all’indimenticabile manuale “Fatevi il vostro Antonioni da soli” contenuto all’interno dello stesso libro…
Ora, qualcuno potrebbe ragionevolmente obiettare che spiega molte più cose sulla percezione dell’autore cinematografico all’inizio degli anni 60 il divertissement di Eco rispetto ad altre pagine di critica o saggistica, e io sarei senz’altro d’accordo. Ma l’acume analitico che sottende all’esercizio parodico e allo sberleffo non giustifica, mi pare, l’attribuzione a Eco di giudizi, valutazioni e tanto meno condanne rispetto all’opera di Antonioni, Godard o Visconti. Per la stessa ragione non mi convince Giunta quando sostiene che “Eco – ritraendo Bongiorno – non si limita ad osservarlo, ma lo giudica” e conclude con la domanda: “sbagliava Mike Bongiorno, con le sue ovvie, banali trasmissioni per l’everyman, l’uomo qualunque; oppure sbagliava Eco, prendendo per ‘mediocrità’ quella che era invece una suprema capacità di farsi ascoltare anche dalle persone più semplici e ignoranti, dai non-superman?”. Di questa domanda non condivido la necessità: perché uno dei due dovrebbe aver sbagliato? Non sbagliava Mike nella costruzione del proprio personaggio televisivo, “un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello”. E non sbagliava Eco nell’analizzarne le caratteristiche – vincenti, non c’è alcun dubbio. Ma la ragione non può stare da una parte o dall’altra perché Mike Bongiorno e Umberto Eco fanno due cose perfettamente compatibili e, al contempo, radicalmente diverse.
Anche queste poche righe non implicano, evidentemente, nessun giudizio, e tanto meno condanna. Fabio Fazio fa quello che fa e lo fa, questo è fuor di dubbio, molto bene: ma appunto, come costruisce Fazio il proprio personaggio televisivo, e perché ritengo possibile leggerlo come una versione attualizzata e consapevole del personaggio Mike?
Proviamo a ripensare a Fabio Fazio che si mette volontariamente al posto dell’“imbecille” di fronte al professor Eco; a Fazio che indulge con candore nelle manifestazioni della sua pigrizia, del suo essere poco sportivo, del suo aspetto un po’ dimesso e poco prestante; a Fazio che, di fronte alle grandi dive dello spettacolo (da Madonna a Monica Bellucci), va a occupare la posizione del maschio sedotto e imbambolato. E ora, rileggiamo alcune annotazioni della Fenomenologia: “Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente”, scrive Eco. O ancora: “Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. […] Professa una stima e una fiducia illimitata verso l’esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. […] Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale”.
Appunto: quale libro si porterebbe su un’isola deserta…? Ma attenzione: Fabio Fazio, come abbiamo visto, non fa questa domanda a Eco. Fabio Fazio finge, divertito, di averla pensata: e qui sta la profonda differenza che lo separa da Mike Bongiorno. Fazio effettua una sorta di “prelievo selettivo” dei caratteri che Eco attribuiva a Mike (per esempio, non si può affatto dire di Fazio che sia privo di senso dell’umorismo, o che accetti tutte le convenzioni sociali o che parli un “basic italian”) e se ne appropria esibendo costantemente, tuttavia, il gesto di appropriazione. In altri termini, Fazio ripropone alcuni caratteri di Mike ma in una forma sempre mediata dal distanziamento ironico. Con una certa approssimazione, e per citare un altro bello scritto di Eco originariamente pubblicato in Dalla periferia dell’impero, Fazio sta a Bongiorno un po’ come ET o I predatori dell’arca perduta stanno a Casablanca.
Questa dimensione “riflessiva” o “metatestuale” che caratterizza il personaggio televisivo di Fazio mi pare abbia giocato un ruolo importante anche nel suo recentissimo rilancio del Rischiatutto. La nuova edizione del quiz, pur premiata dagli ascolti, ha suscitato alcune critiche e perplessità di varia natura, da quelle più circoscritte (per esempio un casting concorrenti forse non brillante, una chiave vintage molto in linea con altre forme televisive contemporanee ma incline a sconfinare nell’effetto “mausoleo” o “giocattolo privato”) a quelle più generali, legate al senso che un programma come Rischiatutto può assumere oggi: in un’epoca, cioè, in cui molti degli assunti su cui il programma si basava, per esempio la cultura come erudizione, e il rapporto tra cultura e successo, sono stati ampiamente ridefiniti.
A mio avviso, a compromettere l’efficacia dell’esperimento è stata, tra le altre cose, proprio la dimensione “meta”, che mal si concilia con un format come il quiz televisivo. Tanto funziona il distanziamento ironico con cui Fazio si appropria del “modello Mike” nelle sue interazioni declinate secondo lo schema dell’intervista o del salotto, tanto risulta stonato laddove occorre giocare sul serio: sulla competenza dei concorrenti, sulle somme in palio, sul regolamento, sulla gara. E non c’è quasi nulla che smorzi la tensione tanto quanto il continuare a sentirsi ripetere, come fosse una litania da recitare “in ludico omaggio a”, “ma che tensione!”.