“Scampia criminale”, “Sails of Scampia/ Failed Architecture”, “Un giorno a Scampia: viaggio all’inferno”. Da utopia architettonica a palcoscenico dei protagonisti della serie prodotta da Sky Gomorra, questo insediamento urbano hasubito negli anni dei radicali cambiamenti. Si è venuto così a creare un vero e proprio deterioramento identitario, laddove i principi basilari della dislocazione e dell’immaginario collettivo hanno coinvolto negli anni, non soltanto la struttura architettonica dal primo momento fatiscente, ma anche tutta la sua popolazione. Svariate, dunque, sono le cause che negli ultimi hanno mitizzato Scampia e i suoi abitanti fino a creare delle pericolose interconnessioni fra la realtà di una comunità alle strette e la finzione del clan Savastano.
Un fenomeno, quello delle Vele, che si può interpretare grazie al concetto dei non-lieux introdotto da Marc Augé ed allo sviluppo incessante di una società delle immagini descritta più volte da Jean-Jacques Wunenburger. In questo caso vige un punto d’incontro fra gli ambiti del reale e della finzione, basato su due aspetti storici attraverso i quali poter fornire le prime delucidazioni in merito: un urbanismo utopico e un deterioramento identitario.
Dopo la Seconda guerra mondiale per la più parte dei paesi occidentali s’inaugura un periodo di ricostruzione che consacra il Movimento Moderno come uno dei riferimenti maggiori. Il complesso delle Vele è progettato dall’architetto Franz Di Salvo nel 1962 a cavallo della legge 167 che favorisce l’acquisizione di aeree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare e sulla scia dell’Unité de Habitation di Le Corbusier. Di Salvo sceglie la formula della macrostruttura, già utilizzata dagli anni sessanta e fino al 1975 lavora alla costruzione di un complesso urbano situato al Nord di Napoli, nel quartiere di Scampia. Costituito da: sette edifici a forma di vela che sono comprendenti di 6453 stanze e 1192 alloggi per 6500 abitanti. Il progetto iniziale prevede un’organizzazione tale da far entrare in relazione i vari abitanti e creare dei fulcri di condivisione. Ogni edificio è connesso da passerelle, Di Salvo prevede anche uno spazio verde di 700 metri quadrati dove in seguito edificare scuole, centri commerciali o culturali. Purtroppo il benessere previsto per una fascia medio-popolare svanisce in pochi anni. L’Italia meridionale e la Campania sono colpite dal terremoto dell’Irpinia nel 1980, il complesso delle Vele subisce di lì a poco uno stravolgimento. La municipalità decide di dare alloggio a una parte degli abitanti dei quartieri storici (San Carlo all’Arena, la Sanità e San Giovanni a Teduccio) sradicandoli dai propri riferimenti sociali e collettivi. L’arrivo in un luogo privo d’identità e di ogni necessità primaria come l’acqua, la luce e il gas ha rafforzato il trauma iniziale che ha contraddistinto la popolazione per decenni. Un totale flop quello delle Vele che prevedeva l’entrata di luce naturale dalle fessure laterali degli edifici e che in seguito sono state chiuse. L’utilizzo spasmodico di cemento armato laddove previsti altri tipi di materiali e il mancato funzionamento degli ascensori ha incrementato non da poco un malessere collettivo che ha preso il sopravvento sul benessere sperato. Un’utopia architettonica quella delle Vele che si è manifestata concretamente con l’abbattimento, fra il 1997 e il 2003, di tre edifici del complesso. L’omogeneità sociale tanto sperata da Di Salvo si volatilizza negli anni, provocando una degradazione identitaria.
Riprendendo i fondamenti dell’immaginario collettivo, potremmo a questo punto chiederci come l’aurea moderna delle Vele si sia metamorfizzata in ombra. Ombra, dal latino ŭmbra. Fra le definizioni del Garzanti quella che più le si addice è : “Ogni ombra rispetto al corpo che la produce, del quale essa ripete in qualche modo la sagoma”. Una descrizione che propone un eterno rimando e cioè quello del riproiettarsi senza un limite definito. Non vedo il mio corpo ma ne percepisco l’ombra. Parliamo dunque, di un riverbero al negativo, una copertura, un velo, una patina che copre un corpo illuminato. Nell’“essere nell’ombra” o nell’“agire nell’ombra” la situazione che vi si prospetta, non è mai chiara, ma nemmeno indefinita. Queste espressioni ci suggeriscono un’immagine di ciò che si sta compiendo e che non si vuole far sapere. Qualcosa che è “nell’ombra” è qualcosa che non è nascosto ma che è ancora visibile a tutti ma percepito in modo diverso. Di conseguenza la caratteristica che ne consegue è senza dubbio quella di una grandissima ambiguità. Un’ambiguità che mette in connessione gli ambiti del reale e della finzione.
Lo storicismo ci suggerisce come si colleghino fra loro l’occupazione delle Vele nel 1980 e il forte incremento della diffusione di eroina in Europa. Nello stesso anno, nel quartiere di Scampia s’inaugura un centro di distribuzione di metadone. In poco tempo l’immagine di questo luogo è immediatamente associabile al narcotraffico. L’immaginario e la forte simbologia che ne scaturisce sono rafforzati da due cause principali: 1) La mancanza d’identità sociale del quartiere, 2) la delocalizzazione degli abitanti dei centri storici favorisce l’attività illecita a scopo di lucro. Interessante vedere come contemporaneamente all’identità del luogo, cambia anche l’utilizzo di un’architettura destinata alla condivisione abitativa. Grazie a un sistema di uscite ed entrate, di passarelle e di feritoie, l’immagine che si accosta di più alle Vele è di un grande alveare. Anfratti, corridoi, stanze vuote, scale senza luce, sono tutti spazi che vengono man mano adibiti allo spaccio e allo smistamento dei soldi facendo sì che l’enorme rete sociale si rafforzi notevolmente.
Una trama storica, quella delle Vele, che ha favorito una grande confusione negli ultimi vent’anni sugli accadimenti sociali del quartiere Scampia. Possiamo rilevarlo dal fatto che alla luce di tutto questo, l’immaginario collettivo si sia impossessato di un’identità degradata trasformandola in una vera e propria identità mediatica. Le immagini delle Vele hanno iniziato a popolare i racconti di Roberto Saviano raccolti in Gomorrae a fungere da scenografia nel film di Matteo Garrone dal titolo omonimo. Questi due primi eventi hanno veicolato fortemente la simbologia della struttura architettonica che ha iniziato così a adombrare un luogo che da pochi anni aveva iniziato a ritrovare, seppur minimo, un nuovo respiro. Contemporaneamente alla pubblicazione di Gomorra nel 2006 il territorio viene, infatti, riqualificato e ribattezzato con il nome di “Napoli Nord”. I centri di spaccio diminuiscono e nascono il Comitato delle Vele di Scampia e i centri sociali Centro Hurtado e Mammut Napoli. L’incontro tra il reale e la finzione si fortifica con il forte impatto che l’immagine gomorriana delle Vele ha sulla città. A solidificare questa connessione, l’uscita nel 2014 della serie televisiva Gomorra,prodotta da Sky Tv. La famiglia Savastano prende le redini dell’immaginario collettivo raggiungendo un imprevisto successo in Italia, in Europa e nel Mondo. La serie Gomorra non nasce a scopo di denuncia come il romanzo ma come una serie d’intrattenimento, frutto dell’immaginario degli autori, dove gli spettatori sono coinvolti dalle svariate vicende della famiglia Savastano e del loro clan. Il tratto realistico è dato non solo dal linguaggio ma soprattutto dalla scenografia urbana. Le Vele diventano in questo modo lo stemma del boss Pietro Savastano, di suo figlio Genny Savastano, di sua moglie Donna Imma Savastano, del suo braccio destro Ciro di Marzio e del suo antagonista Salvatore Conte. Il carattere realista indiscutibile della serie suscita nello spettatore fortissime reazioni emotive contrastanti che nelle Vele vede: omicidi, spaccio e violenza da una parte; rivalsa, ricostruzione e una nuova identità dall’altra. A questo punto le reazioni empatiche possono essere di due fattezze, l’una positiva e l’altra negativa. Di sicuro è che la psicologia dei personaggi principali è monopolizzata dal carattere amaro ancora non rinfrancato di un sistema secolare e radicato. Questo facilita la veicolazione del messaggio che fino alla fine non si capisce se sia nel bene o nel male. La cosa interessante è che esso arrivi al pubblico come lo specchio attuale di ciò che accade. L’identità mediatizzata provoca, infatti, un’enorme misunderstanding fra ciò che effettivamente si palesa nel reale e ciò che è finzione.
Ad oggi, le Vele oltre a resistere all’ombra di Gomorra, è un complesso urbano mosso dalla volontà di dare nuova luce alle proprie oscurità, un luogo dove è avvenuto il miracolo di una collettività che si riappropria dei suoi spazi e per suggellare quest’ultmo concetto come monito riprendiamo le parole di Davide Cerullo ex trafficante e oggi scrittore: “La cultura è l’unica arma di riscatto”.