Nuovi adepti vengono attratti dal successo dell’enfasi populista di un movimento liquido, erede delle posizioni anti-sistema della Lega Nord delle origini, che dalla crisi della politica dei partiti tradizionali ha tratto terreno fertile per coltivare rabbia e paura: la nascita del Movimento 5 Stelle è il punto di arrivo di una strategia di marketing incentrata sull’idea di democrazia partecipata possibile grazie agli strumenti della rete.
Il non-partito grillino non supera però i limiti di quello che il leader è solito definire come il “cancro della democrazia”: nonostante i buoni risultati elettorali, la mancanza di proposte organiche ai problemi concreti e il verticismo lo rendono un esperimento politico non certo migliore dei vari partiti personali sorti durante la Seconda Repubblica. La leadership autocratica ha imposto un progetto politico vuoto, che aspira a governare il Paese ma che non è disposto ad alcuna sintesi o compromesso, come il fascismo delle origini a cui viene spesso paragonato: «I Fasci non sono, non vogliono, non possono essere, non possono diventare un partito. I Fasci sono l’organizzazione temporanea di tutti coloro che accettano date soluzioni di dati problemi attuali» scrisse Benito Mussolini nel 1919». E ancora, il 23 marzo 1921: «Il Fascismo è una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare la Nazione».
Il paragone è respinto con sdegno dai grillini, ma l’ex capogruppo del M5S alla Camera, Roberta Lombardi, in un post sul suo blog personale, elogia il movimento sansepolcrista: «[Il fascismo] prima che degenerasse aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia».
È il gennaio del 2013, i fedelissimi si inerpicano sugli specchi per giustificare l’ammiccamento a Casa Pound fatto pochi giorni prima a un comizio-happening davanti al Viminale da Beppe Grillo, il quale discutendo con dei militanti di estrema destra ha affermato che essere antifascista o meno è un problema che non gli compete perché «il nostro è un movimento ecumenico. Se un ragazzo di Casa Pound volesse entrare nel Movimento 5 Stelle e avesse i requisiti per farlo, ci entra. Più o meno avete delle idee che sono condivisibili, alcune meno alcune di più. Questa è la democrazia».
Poco prima aveva ribadito che il MoVimento è un argine all’esplosione del radicalismo di destra. Sono i mesi del successo del Front National di Marine Le Pen, dell’affermazione di Alba Dorata in Grecia ed è lo stesso Grillo che mesi dopo invita le forze dell’ordine a disertare per unirsi alla protesta contro lo Stato e che alla BBC dichiara: «Non c’era speranza. C’era solo rabbia senza speranza. E la rabbia senza speranza che crea la violenza, ma la rabbia con la speranza è una diversa forma di rabbia, una rabbia ottimista, che non è negativa. Noi stiamo contenendo questa rabbia, dovrebbero ringraziarmi per questo. E una rabbia democratica necessaria per andare avanti». Intervistato da «Time» rincara: «Se falliamo, ci sarà la violenza nelle strade. Metà della popolazione non ne può più».
Un sistema moderno, dunque, in cui l’agorà è rappresentata dalla democrazia diretta, dal voto via internet che, benché non coinvolga le masse, rimane sul piano ideale il segno della raggiunta indipendenza dalle lobby e dai circuiti di potere precostituito, rappresentato nell’iconografia grillina dal “Palazzo”. E cosi internet pur non aperto a tutti, ma limitato, chiuso, vincolato e verificato. Così succede, per esempio, quando l’ex comico mette all’indice quattro senatori dissidenti: Luis Orellana, Francesco Campanella, Lorenzo Battista e Francesco Bocchino.
La scomunica grillina, per tutti, arriva via internet nel febbraio del 2014. Le accuse sono le più svariate, ma l’imputazione fondamentale, e che ricorda da vicino le frasi utilizzate nel Ventennio, è quella di tradimento. Contro il duopolio Grillo-Casaleggio, contro il MoVimento, ma soprattutto contro il popolo. Quel popolo che aveva conferito a loro quattro, come a tutti gli altri eletti, il sacro mandato di erodere dalle fondamenta la politica tradizionale. Una colpa gravissima, una macchia indelebile sulla purezza della gente a cinque stelle che non può essere perdonata. Così si dà vita a una sorta di referendum online, non aperto a tutti, ma soltanto agli iscritti al blog in una data antecedente a giugno del 2013, che dura una manciata di ore. E una sorta di sì o no da dare in blocco sui quattro “ribelli” sotto giudizio che rimanda alla triste frase “Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo?” impressa sulle schede elettorali alle politiche del 1934. E il risultato viene comunicato, in piccolo e in corsivo, in fondo all’homepage, quasi si trattasse di un qualcosa di irrilevante per la tenuta del MoVimento, ma anche della democrazia italiana: «Hanno partecipato alla votazione 43.368 iscritti certificati. 29.883 hanno votato per ratificare la delibera di espulsione. 13.485 hanno votato contro».
Il gran numero di espulsioni che il M5S ha visto dal 2012 trova in questo sentirsi comunità la sua giustificazione: i “disobbedienti” sono percepiti come corpi estranei prima ancora che traditori della causa, le loro critiche al leader e al MoVimento vissute come attacchi a quella stessa comunità che, in aperta antitesi con i partiti tradizionali che pretendono di rappresentare solo una parte della società, ha velleità totalitarie. Come lo stesso Grillo ha dichiarato a «Time»: «Noi vogliamo il 100 per cento del Parlamento, non il 20, il 25 o il 30 per cento. Quando il movimento raggiungerà il 100 per cento, quando i cittadini diventeranno lo Stato, il movimento non avrà più ragione di esistere. L’obiettivo è quello di estinguerci».
La mancanza di trasparenza e di concreta democrazia interna non sembrano minare il consenso di più di un quinto dell’elettorato italiano: a buona parte dei militanti sembra non dispiacere la deriva autoritaria del M5S e le sue svolte a destra. Le degenerazioni del grillismo sono tipiche di quei sognatori seguaci di leader carismatici che, a causa della forza di una fede accecata dalla speranza in un cambiamento da troppo tempo atteso, finiscono per restare intrappolati in un fanatismo misticheggiante. Ed è questa forma esasperata che viene spesso presa di mira dai media che vogliono dare del Movimento un’immagine simile a quella di una setta.
Poco importa se i paletti e la diffidenza nei confronti dei media (considerati il male peggiore), il sogno dell’assenza di ogni opposizione, l’epurazione dei dissidenti e l’imposizione di un pensiero unico interno, l’abolizione dei sindacati e dei partiti politici siano tutte istanze che riconducono al fascismo. Già nel 2012 il M5S aveva messo alla berlina alcuni consiglieri sparsi in tutta Italia che in una chat privata discutevano del futuro del MoVimento e assieme a loro una serie di normali cittadini che avevano organizzato un incontro a Rimini per studiare una serie di proposte da rilanciare online. Grillo aveva accusato consiglieri e simpatizzanti di “partitocrazia”, compiendo poi un ulteriore passo in avanti cacciando dal suo gruppo un consigliere – il ferrarese Valentino Tavolazzi –, colpevole di aver partecipato all’incontro di Rimini.
A fine 2014, poi, i mal di pancia interni esplodono al grande raduno del Circo Massimo con una protesta di quattro attivisti – Giorgio Filosto, Orazio Ciccozzi, Pierfrancesco Rosselli e Daniele Lombardi – che occupano il palco. Risultato: un’altra epurazione annunciata dallo stesso ex comico sul suo blog. «Hanno approfittato del loro ruolo di responsabili della sicurezza del palco di Italia 5 Stelle per occupare il palco stesso. In rispetto per gli oltre 600 volontari che hanno dedicato il loro tempo e lavoro per il successo dell’evento Italia 5 Stelle e delle centinaia di migliaia di attivisti del MoVimento 5 Stelle presenti all’evento, i quattro sopracitati sono fuori dal MoVimento 5 Stelle.»
Sul blog pentastellato viene anche appositamente aperta una sezione dedicata al “giornalista del giorno” colpevole di aver criticato, a torto o a ragione non importa, il barbuto capopopolo o il grande cervello casaleggiano e che diventa oggetto di sberleffi, insulti, quando non di minacce dirette. E la gente normale come reagisce?
A vedere i risultati delle regionali 2015 e i sondaggi, fondamentalmente almeno con indifferenza. Sintomo, ancora una volta, di come gli italiani, probabilmente, non siano ancora pronti, o non vogliano, una democrazia vera e compiuta sul modello anglosassone. No, in questo Stato basta, e avanza, la promessa di una sorta di padre-padrone capace di risollevare le sorti di tutti, senza alcun fine personale, perché buona parte del Paese gli dia il suo appoggio. Almeno fino al prossimo incantatore di serpenti che salirà alla ribalta.
Quello di dipingersi come ultimo argine della violenza è un artificio già usato dalla Lega e dallo stesso Mussolini negli anni dello squadrismo, ma la supposta necessità di quell’argine populista non ne giustifica l’ambiguità nei confronti delle idee e dei princìpi di estrema destra mantenuta pur di catalizzare tutto il malcontento possibile, benché abbia alimentato le critiche (anche interne) contro il MoVimento.
Strategie scelte dal vertice del MoVimento e più o meno direttamente imposte alla comunità: la smania di voler essere in contrapposizione al sistema porta ad alleanze imbarazzanti, come quella con l’estrema destra euroscettica all’Europarlamento, e spinge ad affermazioni aberranti, come quando nel settembre del 2014 si invoca la quarantena per i migranti. Clamorose svolte a destra fatte pur di inseguire i giovani arrabbiati, possibili grazie a un programma lacunoso: nessun vincolo ideologico è imposto dal “non-statuto” del MoVimento, ma il tandem Grillo-Casaleggio attraverso il blog dell’ex comico impone una leadership autocratica in aperta antitesi con i princìpi fondativi del MoVimento. Le scelte del vertice vengono confermate da plebiscitari sondaggi sul web organizzati dalla società di Casaleggio, privi di qualsiasi forma di controllo indipendente che garantisca la trasparenza e la correttezza del voto.
Mentre gli attacchi dall’esterno dei media e degli avversari politici vengono ignorati o rispediti al mittente con i soliti insulti, i dissidenti interni protestano contro un movimento dove solo uno parla (attraverso il blog) a milioni di persone e impedisce ai rappresentanti eletti di andare in televisione, di uscire dall’angolo mediatico della propria pagina Facebook o del proprio account Twitter; rivendicano il diritto di maggiore libertà e chiedono più trasparenza nei meccanismi decisionali; criticano la vacuità del progetto politico imposto dall’alto, mero contenitore di un piano di marketing; denunciano il verticismo di Casaleggio e Grillo e il mancato rispetto dei princìpi fondativi. A queste istanze i grillini fedelissimi rispondono con la violenza verbale, con la denigrazione, mentre il capo politico ne sancisce l’espulsione. Il danno di immagine è trascurabile, anzi l’eliminazione dei parlamentari dissidenti e la perdita di voti compatta la base e consolida quella comunità formatasi all’ombra dell’ex comico genovese e della quale il MoVimento è solo una sorta di rappresentanza politica: un gruppo chiuso, un insieme completo in se stesso.
Tratto da A noi! Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi, Rizzoli, Milano 2015
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