“Sviluppata, avanzata, moderna”: sono questi alcuni dei termini più usati dalla nostra società civilizzata e mediamente ricca per riferirsi alle proprie condizioni attuali; ma rispetto a cosa si attribuiscono tali qualifiche? Socialmente sviluppata? Scientificamente avanzata? Tecnologicamente moderna? Sembrerebbe quasi che queste espressioni ritraggano una società utopica. La realtà sociale di oggi si potrebbe invece paragonare a un dipinto malfatto e scadente, incorniciato da un’ingannevole brillantezza capace di distrarre l’osservatore.
Con tale metafora intendiamo avviare nel testo che segue una ricerca sulla vera identità della società odierna e mostrare come essa non sia così armoniosa come molti pensano.
La nostra epoca non è poi così diversa dalle precedenti: ognuna di esse è stata caratterizzata da progressi e scoperte ed è per questo che si parla di sviluppo; potrebbero sembrare considerazioni azzardate, forse persino avventate, ma se si guarda da un diverso punto di vista, con una visione più ampia, ci si accorge che anche se la società si è evoluta per millenni, continuano a esistere Paesi in cui la libertà è negata ad alcuni uomini, vi sono discriminazioni razziali e religiose, si danneggia l’ecosistema, per fare solo qualche esempio. Rispetto a queste situazioni drammatiche ognuno dovrebbe uscire dallo stato di cecità in cui si trova e affrontarle da persona capace di rispetto e comprensione verso il mondo nel suo meraviglioso complesso.
Proprio per il fatto che l’umanità, sebbene sia in continuo sviluppo, persiste nel ricadere negli stessi errori, perdendosi in situazioni evitabili e drammatiche, che mostrano l’uomo come animale bruto e spregevole, non si può che sostenere quanto la nostra epoca non si distanzi da quelle passate e che la globalizzazione porti, come inevitabile conseguenza, all’omologazione degli uomini.
Eppure sembra che le società agiate facciano finta di non capire, preferiscono vivere nell’ipocrisia del presente, senza pensare al domani e ciò che dice uno lo dicono tutti, e ciò che pensa un altro lo pensano tutti, ricadendo sempre nelle dinamiche che da millenni continuano a ripresentarsi. Rileggendo le pagine di uno dei capolavori di Charles Dickens, Hard Times, ci si può quasi ritrovare nella descrizione che lo scrittore fece della società londinese ottocentesca, quando parlò di “uomini uno uguale all’altro”; parole forti le sue, nate in un’epoca ambivalente di progresso scientifico e regresso umano che, però, sembra non essere arrivata a una fine o sembra non aver raggiunto un superamento di se stessa. Nuove situazioni e contesti fanno da sfondo a un susseguirsi di periodi di pace e di confitto, di tolleranza e oppressione che spinge gli studiosi ad avvicinarsi sempre più a una visione ciclica della storia, che ricorda quella di Vico. La fase che la storia sta attraversando in questo periodo sta portando il sapere umano a vertiginose scoperte e invenzioni, mentre il comportamento di molti è al limite tra l’umano e il disumano.
La globalizzazione stessa, nei suoi aspetti positivo e negativo, sta portando l’uomo all’omologazione e alla perdita di usanze e costumi.
Per fortuna in tutto questo mare di convenzionalismo esistono delle “ancore di salvataggio ”, delle discipline che permettono a chi le esercita di esprimersi come persona, come singolo: tra queste l’arte, la filosofia e il diritto.
Perché l’arte?
L’arte è da sempre il modo migliore per esprimere i sentimenti e le emozioni che, come uomini, proviamo. Non importa in quale forma essa si manifesti: dalla letteratura alla musica, dall’architettura alla pittura sono tutte espressione del nostro io più profondo e unico, un modo per non essere trascinati dalle correnti omogenee delle masse e, al contrario, emergere come individuo e rivelare la propria essenza. Pensiamo a Monet: attraverso l’arte ha potuto abbandonarsi agli istinti dettati dall’animo, allontanandosi fino a contrapporsi agli schemi imposti dai movimenti artistici esistenti; a differenza degli altri artisti egli non si pose limiti entro i quali esprimersi, evitando perfino l’indottrinamento dettato dalla scuola. Allontanandosi dall’arte tradizionale Monet riuscì a trovare quella che sarebbe stata un’arte sua, personale, che gli permise di sfuggire all’omologazione che caratterizzava – anche – il suo periodo.
Ecco perché l’arte si può considerare un‘”ancora”, perché grazie a essa l’uomo ha il potere di lottare per la propria individualità, per un proprio pensiero; d’altronde, cos’è l’arte? Forse non se ne può dare una definizione precisa, proprio per la soggettività con cui ognuno la utilizza, ne fruisce o la percepisce.
Perché la filosofia?
“Ciascuno di noi è QUEL singolo” così si esprimeva Kierkegaard in merito alla questione esistenziale: ciò che caratterizza l’uomo è la possibilità di scegliere, l’uomo stesso è possibilità di scelta. Certo il grande filosofo danese si era concentrato su una scelta in particolare, ovvero quella fra una vita dedita a una persona amata e una vita dedita a Dio, ma il voler risaltare l’individualità è sicuramente il sintomo di una accettazione di se stesso non come parte insignificante di un insieme collettivo, ma come unità fondamentale che, nel suo piccolo, lo completa. È la filosofia, strumento di espressione quasi mistico, a dare la possibilità all’uomo di porsi domande che scienza e religione non riescono a giustificare e che trovano compimento nella sua individualità.
Sono necessarie le sole conoscenze base della filosofia per rendersi subito conto che i problemi sollevati sono numerosi e svariati e che non è raro che filosofi trovino numerose soluzioni a uno stesso problema; ciò fa comprendere che la vera scienza del sapere cresce assieme al nostro pensiero ed è una delle discipline più personali che esistano. Questa è una flebile fiamma di speranza per la lotta contro l’omologazione, fiamma che dovrà essere protetta dal freddo soffio pericoloso e seducente della Globalizzazione.
Perché il diritto?
Anche il diritto è uno dei fattori che distinguono gli esseri umani; ciò perché ogni legge, regola e proibizione imposta a un popolo è da sempre frutto delle sue stesse tradizioni. Il cuore stesso del diritto sta proprio nelle usanze delle genti al quale viene imposto.
Appare dunque chiaro che il singolo deve ambire a possedere una propria personalità, idee, emozioni, per contrastare la formazione di un mondo monocromatico. È importante tendere a una società utopica nella quale si possano comprendere le diversità delle persone nel loro modo di agire e di comprendere il mondo.
È difficile, se non impossibile, provocare un sentimento comune di giustizia, come osserva il giurista Gustavo Zagrebelsky. Forse è, però, possibile procurarne uno simile per tutti di fronte a una ingiustizia massima (con tale espressione ci si riferisce alle ingiustizie subite dagli innocenti, quali animali e bambini). Il diritto non sarà mai universale perché si applica alle esigenze di ogni popolo; esso è, dunque, in grado di mantenere al contempo l’unicità e la distinzione fra le varie comunità.
Da queste riflessioni emerge come l’arte, la filosofia e il diritto siano alcune dei più importanti ambiti dell’espressione dell’uomo che questi può e deve sfruttare per rimanere un individuo unico e inimitabile. Se ogni uomo saprà utilizzare questi strumenti, la globalizzazione non sarà più da temere, ma da abbracciare come opportunità di confronto, unione e – soprattutto – accettazione tra culture (arte), pensieri (filosofia) e tradizioni (diritto) diverse.