Se volessimo individuare un carattere che ha contraddistinto alcuni dei lavori più importanti della scorsa stagione cinematografica, quella del 2013-2014 – periodo che per certi versi trova il suo inizio e la sua conclusione nell’arco temporale tra un’edizione del festival di Cannes e quella successiva –, la rappresentazione dell’universo sessuale risulterebbe molto probabilmente la scelta più condivisa.
Prendiamo infatti in considerazione i titoli più significativi e interessanti di tale periodo e vedremo come questi siano caratterizzati da una particolare attenzione verso la sfera dell’eros: La vita di Adele, La grande bellezza, The Wolf of Wall Street, Spring Breakers, Nymphomanic, fino a giungere all’ultima pellicola di Spike Jonze, Her, sono tra i principali film di questo periodo che indagano il sesso fino a farlo divenire un elemento centrale. Emerge così che Kechiche, Sorrentino, Scorsese, Korine, von Trier, Jonze abbiano voluto mettere in rappresentazione e concentrarsi sul mondo del dio Eros, e che, seppure con le loro divergenze e specificità, ciascuno di questi registi sia riuscito a realizzare, assieme agli altri, un discorso unitario sul ruolo del sesso nella società contemporanea. Riprendendo il titolo del celebre saggio di Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, possiamo allora dire che queste sei opere cinematografiche compongono il quadro di un insieme di frammenti di un discorso sessuale, che già a partire dalla stagione precedente si era cominciato a delineare in maniera decisa (si pensi in particolare a Pietà, Holy Motors, The Master, Nella casa).
Bisogna certo precisare che il discorso frammentario, e nello stesso tempo unitario, che costituiscono questi film non può essere più definito amoroso, semmai sessuale, in quanto: o l’amore viene del tutto escluso per dare spazio solo al sesso, nelle sue declinazioni che risultano sempre più morbose ed estreme (“Forget about love” recita il sottotitolo di Nymphomanic); o perché non scindendo le due realtà, quella sessuale e quella amorosa, ma decidendo di mostrarle come aspetti indissolubili, come le due facce di una stessa medaglia, si decide di rappresentare senza timori e censure la vita privata facendo così prevalere inevitabilmente nel film la componente erotica. Si pensi, a riguardo di questo secondo caso, al logorante travaglio emotivo vissuto da Adele, nel film di Kechiche, che si sviluppa in parallelo alle durature e del tutto manifeste scene di sesso fra lei e la sua compagna, scene che fanno irrompere la dimensione intima della vita sessuale nella rappresentazione della realtà sentimentale, in una maniera alquanto inedita; infatti i termini della resa della sfera sessuale risultano così esplicite da superare un importante modello come quello proposto da Bertolucci con Ultimo tango a Parigi per avvicinarsi maggiormente a quello realizzato da Gallo con Brown Bunny, da Haneke con La pianista e ancora prima dalla coppia Clark-Korine con Kids e Ken Park, senza dimenticare diverse opere di Almodóvar ed Eyes Wide Shut di Kubrick.
Emerge in questo modo come tutti questi film citati oltrepassino i limiti che il mondo dello spettacolo ha e si è imposto per la rappresentazione della sfera sessuale ed emotiva, limiti che hanno escluso per lungo tempo nel cinema mainstream l’immagine esplicita delle dinamiche e delle pulsioni più intime e private. La sessualità resa nella sua integrità è diventata così la nuova frontiera in cui addentrarsi, e se negli anni ’80 autori importanti, da Cronenberg a Tsukamoto, si addentravano nella dimensione dell’orrore e dello splatter associandola a quella erotica, esplorando, come scrive Baudrillard, “l’interno stesso del corpo e delle viscere”, ora l’esibizione dell’universo sessuale in tutte le sue forme e ossessioni diviene la nuova modalità per l’indagine sull’uomo – il passaggio da Videodrome a Crash e da Testuo a Snake of June risulta a riguardo emblematico e anticipatore di quel fenomeno che si sta configurando negli ultimi anni –. E non è un caso che l’intento di puntare i riflettori nelle zone più celate della vita dell’uomo sorga in un momento storico in cui la pornografia mediante internet è entrata sempre più nella nostra vita quotidiana, divenuta facilmente accessibile è fruita ormai, in tutte le sue variazioni, sin da giovane età – come è ben rappresentato nel documentario della BBC Teen hooked on porn –. L’eros in questo modo, da sempre presente nello spettacolo filmico, si trasforma nel cinema d’autore in esibizione del sesso, diviene sfacciato, più che trasgressivo diviene aggressivo, proposto come elemento che si vuole mostrare nella sua totale integrità, in tutta la sua scioccante interezza. Scioccante e disturbante risulta infatti, il più delle volte, il mondo sessuale in questi film; si offre svuotato e violento, morboso e estenuante, proprio perché i corpi, espropriati della loro intimità e offerti allo sguardo estraneo, appaiono violati e irrazionali nei loro gesti e nelle loro pulsioni. L’“elemento di violazione, o persino di violenza” costituisce l’attività erotica, osserva Bataille ne L’erotismo; ma tale carattere si amplifica profondamente quando l’atto sessuale diviene oggetto di spettacolo, oggetto di visione di un altro estraneo, quando è decontestualizzato dalla situazione privata.
Dobbiamo allora apportare una modifica a ciò che abbiamo scritto: abbiamo infatti riportato come i registi citati dimostrino la volontà di dare corpo all’universo del dio Eros, ma è meglio precisare che nei casi cinematografici presi in considerazione, della divinità oggetto di riflessione nel Simposio di Platone viene posta l’attenzione al solo “desiderio” e non all’“aspirazione dell’intero”, trova spazio solo il desiderio fine a sé stesso e la sua soddisfazione immediata; e in questi casi tale divinità più che a un dio risulta più simile a un “gran demone”, come ha osservato Socrate; un demone però che, a differenza di quanto riflette il filosofo greco, non è proiettato verso il “Bello in sé” ma rimane ancorato al primo grado della scala di Eros, quello della sola attrazione dei corpi. Proprio per questo il più delle volte sembra che, invece di Eros, l’essere mitologico, ai quali richiamano i diversi autori che stiamo prendendo in considerazione, sia Pan, il dio della masturbazione e della sessualità sfrenata, della violenza e del terrore panico, della frenesia e dell’obnubilamento. Infatti, riprendendo i film della scorsa stagione, i caratteri di Pan affiorano quando ricordiamo, ad esempio, la masturbazione del protagonista di Her al telefono con una sconosciuta e le morbose fantasie di quest’ultima riguardanti la soffocazione mediante un gatto morto; o si pensi all’inizio del film di Scorsese, al consiglio dato da un affermato broker al giovane Jordan di praticare con assiduità giornaliera l’autoerotismo; oppure si ricordi le feste orgiastiche de La grande bellezza dove sesso, droga e altri eccessi si succedono negli appartamenti della Roma benestante sotto lo sguardo disincantato di Gambardella, o quelle ancora più estreme di The Wolf of Wall Street in cui il corpo è reso un semplice oggetto funzionale alla personale e stravagante fantasia del momento (si veda l’uso del corpo dei nani o all’assunzione della cocaina riposta nell’ano di una donna); in Spring Breakers a sua volta la sessualità esplicita è associata, ancora una volta, al denaro, che si offre, quest’ultimo, come espressione della volontà di dominio del mondo esterno, quel dominio che in altri termini si realizza nell’ambito sessuale e della violenza (la simulazione della fellatio con la pistola, imposta ad Alien dalle due protagoniste del film su un letto ricoperto di dollari, è una scena che risulta particolarmente eloquente capace di unire le due facce del dominio dell’altro in un’unica immagine); in ultimo ricordiamo l’insaziabile ardore sessuale della protagonista di Nymphomanic, desiderio che la spinge sin da giovane ad una continua ricerca dell’eccesso, fino a raggiungere una visione nichilista e distruttiva della realtà, del proprio corpo e della propria esistenza.
La vita di un innamorato, osserva Barthes, è “demoniaca”; la vita sotto le regole del desiderio, dicono implicitamente i nostri registi, è altrettanto demoniaca, anzi, si dimostra tale ma in maniera ancora più marcata e, riprendendo le parole del pensatore francese, possiamo dire che risulta simile “alla superficie di una solfatara”: si dimostra, insomma, “il disordine della natura”.
E proprio verso la resa di questo disordine insito nella natura umana che tutti questi film convergono; si incontrano, ognuno con le proprie specificità, nella descrizione del desiderio panico, le cui espressioni più intime sono rimaste a lungo celate nella rappresentazione filmica; a parte infatti alcuni singoli casi sporadici, primi fra tutti Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, il già citato Ultimo tango a Parigi di Bertolucci e alcune opere di Almodóvar, casi che si dimostrano isolati nel corso della storia del cinema, lo spettacolo filmico non aveva mai dimostrato, nella concentrazione inoltre di una sola stagione, l’intento di proporre e comporre questi frammenti di un discorso sessuale; l’obscenus, rimasto a lungo fuori dalla scena, nascosto nella sua intimità segreta, è stato questa volta illuminato con particolare dedizione; a quell’oscuro spazio scenico, oggetto segreto dei nostri desideri, sono state offerte le luci della ribalta.
C’è da chiedersi, a questo punto, per quale motivo sia nato quasi contemporaneamente il medesimo intento di rappresentare in termini così espliciti la sfera disordinata del sesso da parte di questi artisti, i quali, tranne Almodóvar, Korine e von Trier (quest’ultimo però senza mai arrivare agli eccessi di Nymphomanic) non avevano mai dimostrato un così forte interesse verso questo tema reso mediante un registro così crudo e realistico. Un supporto per rispondere a tale domanda la possiamo trarre da Her di Jonze, proprio cioè da quel film in cui, tra quelli indicati, i toni della rappresentazione della vita sessuale si stemperano maggiormente per indirizzarsi verso una soluzione opposta, ovvero la raffigurazione di quell’universo di Eros caratterizzato da un superamento dell’attrazione del corpo e sostituito dal desiderio del raggiungimento dell’unità. E in particolare possiamo desumere una risposta dalla scelta di modalità di rappresentazione dell’amplesso tra Samantha, il sistema operativo, e Theodore: Jonze decide infatti che, nel momento in cui si consuma il rapporto fra i due, vengano spente le luci della ribalta, che l’oscurità, il non-visibile ritorni nella dimensione dell’intimità, scegliendo che solo le parole, i suoni, i gemiti che i due amanti esprimono (accompagnati da un crescendo musicale composto dagli Arcade Fire) risultino percepibili allo spettatore. In tal modo Jonze crea una situazione di forte carica erotica che si accorda con una dimensione romantica di grande e commovente intensità, e nello stesso tempo esclude quell’atmosfera panica colta negli altri film che abbiamo citato, per realizzare una delle più belle scene di sesso nella storia del cinema, la più ricca di sensualità e sessualità. L’oscuramento della realtà del dio Pan ha permesso infatti in Her di far riscoprire e primeggiare quella di dio Eros. Ciò che allora possiamo dedurre da questa scena creata da Jonze è che quell’orgia di realismo, utilizzando le parole espresse Baudrillard in Della seduzione, colta in tutti gli altri film, è finalizzata a realizzare quella che il filosofo francese definisce “la realtà defunta del sesso”, nella quale, come osserva Barthes, “il sesso [risulta] ovunque, tranne che nella sessualità”. Proponendo cioè l’esplicitazione del sesso Scorsese, Sorrentino, Kechiche, Korine, von Trier, hanno voluto sottolineare come la nostra società abbia “po[sto] fine al sesso”. Attraverso l’osceno messo in rappresentazione i diversi autori denunciano infatti il declino della sfera sessuale, intesa nella prospettiva di Eros, all’interno del tessuto sociale contemporaneo; accusano l’inaridimento e l’inclinazione verso il materialistico eccesso che domina la nostra realtà attuale e che soffoca il sorgere dell’erotismo dei corpi e dell’armonia che l’incontro fisico realizza; un aspetto questo che trova una perfetta rappresentazione poetica nell’immagine dell’osceno Monsieur Merde, in Holy Motors, che dorme nudo con il fallo in erezione, dopo aver divorato delle banconote, sulle gambe di Eva Mendes, la quale rapita dal mostro non è bramata da questo per unirsi sessualmente con lei, ma anzi viene da Merde del tutto “annullata” dalle vesti da lui create, vesti che le coprono l’intero corpo e viso, facendola diventare oggetto di dominio e sottomissione e non più soggetto erotico e di seduzione.
Tutti i sei artisti dei rispettivi film della scorsa stagione dimostrano così, in sintonia con alcuni autori di stagioni precedenti, di aver avuto la stessa percezione del reale, di come, cioè, sia prevalsa la figura del dio Pan, attualizzata dalla creatura di Carax, Mousieur Merde, che ha soffocato quella di Eros. Nelle loro opere si evidenzia e si denuncia dunque come si sia imposta quella che Baudrillard definisce la “cultura pornografica” che cancella quella propensione, analizzata da Platone, verso il raggiungimento dell’armonia e dell’unità mediante il rapporto con l’altro, e il risultato di tale soppressione è il rimanere ancorati alla sola brama del dominio e del soddisfacimento fugace. Questo svilimento della realtà di Eros ha inoltre come conseguenze l’inaridimento dei rapporti sociali, la cancellazione dell’interesse verso l’altro, e ciò fa precipitare tutti quanti i componenti di questa società pornografica in uno stato di perenne insoddisfazione e profonda solitudine, quello stato in cui sono immersi tutti i protagonisti dei film citati. Tutti tranne, alla fine, Thoedore di Her; proprio il più solo e introverso dei personaggi di questo frammentario discorso sessuale composto dai sei registi, ci apre infatti dinnanzi a noi lo spiraglio di un possibile cambiamento, di un’apertura verso Eros, di riconquista delle virtù di questa divinità, indicandoci la strada per l’oscuramento della realtà panica.