Immagini da una crisi Uso mediatico e politico dell’iconografia classica

 

 

Graecia capta ferum victorem cepit[…]

Molti fra quelli che per aver frequentato studi classici, conservano una certa passione, unita sovente anche a una qualche seria conoscenza, della cultura classica, certamente ricorderanno questa celebre frase con la quale Orazio (Epistole, II,1, 56) riassume emblematicamente il processo di conquista che Roma, allora potenza militare emergente, porta a termine in Oriente, occupando la Macedonia (179 a.C.) e la Grecia (146 a.C.).

L’occupazione dei territori orientali significò, infatti, per Roma, non solo l’acquisizione di grandi ricchezze economiche, ma soprattutto il contatto e la seguente traslazione dell’enorme patrimonio culturale che il mondo ellenico, meglio ellenistico, se nel termine vogliamo includere tutta l’area del Mediterraneo, rappresentava ancora in quegli anni. Non è un caso che il console Lucio Emilio Paolo abbia voluto sancire il trionfo sul re Perseo di Macedonia, trasferendone la ricchissima biblioteca personale da Pidna a Roma.

L’Urbe, potenza economicamente e politicamente dominatrice, riconosceva, insomma, la superiorità intellettuale e culturale di un popolo sottomesso in ragione della sua minorità economica e politica; sempre Orazio prosegue, infatti, aggiungendo che la provincia greca, orami schiacciata dalla superpotenza italica artes intulit agresti Latio.

L’indiscutibile superiorità culturale ellenica, insomma, si imponeva anche su un nemico ben più forte ed autoritario: essa si traduceva ancor più che in una mentalità o in comportamenti nuovi, spesso osteggiati da buona parte dei conservatori, nelle immagini emblematiche tanto quanto affascinanti, veicolate dalle numerose opere d’arte, importate o riprodotte per soddisfare il gusto esotico di molti esponenti della nobilitas urbana, che aveva fatto del collezionismo un marchio di superiore raffinatezza.

Nei secoli è stata proprio la passione antiquaria dei collezionisti, assai più spesso che il rigore scientifico degli studiosi, il medium attraverso il quale la gran parte di questo enorme patrimonio è giunto fino all’età moderna; dettaglio costante e non certo trascurabile il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi, questi amanti delle rovine e delle opere belle, provenivano dalle superpotenze dominanti nel quadro politico: Germania, Francia e Inghilterra, nell’Ottocento, Stati Uniti nel Novecento, gli Emirati Arabi negli ultimissimi anni. L’unica eccezione è forse costituita dalla lunga tradizione del collezionismo in Italia, la quale però figlia-per così dire- d’elezione della Grecia, ha avuto quasi il dovere di trasmetterne l’eredità ai posteri.

Riassumendo si può dire che la costante storica ha sempre voluto che il dominatore militare prima e poi economico, si sia dovuto inchinare al fascino, spesso ritenuto superfluo, ma per questo stesso motivo ancora più seducente, del dominato.

Se consideriamo, però, che le costanti storiche unite alla forza simbolica e comunicativa delle immagini, hanno spesso come loro naturale conseguenza una presa rapida ma duratura nell’immaginario collettivo non è difficile immaginare il motivo per cui ancora oggi, nel mondo globalizzato dagli slogan e dai post, la Grecia si traduce al grande pubblico in quello stesso insieme di immagini, perfette nella loro staticità e nel loro, peraltro falso, candore ed in quei gesti che i protagonisti moderni sembrano voler strappare ad un passato eroico.

Così nell’ultimo mese il supporto mediatico, di gran lunga superiore a quello politico, alla resistenza di Tsipras, si è spesso tradotto in una serie di icone che, in grado di viaggiare nel tempo e nello spazio, hanno accomunato l’opinione pubblica in uno spontaneo moto di sympateia, per dirla alla greca: non importava che le idee politiche del premier greco fossero giuste o sbagliate, importava che egli incarnasse in quel momento il modello di cittadinanza attiva sintetizzato ed esaltato nelle parole delle tragedie di Euripide (Supplici, 399-405); quelle stesse tragedie alle quali eravamo rimasti sordi e annoiati sui banchi del Liceo. Nessuno si è risparmiato il suo banale intervento sprecandosi in citazioni, spesso totalmente anacronistiche, di Socrate, Platone o Aristotele: hanno spopolato su ogni genere di media i dibattiti letterari, filosofici, politici sul famoso passo di Tucidide (II, 37-41) che riporta il discorso di Pericle agli Ateniesi. E poco importa, anche in questo caso, che nel 430 a.C. l’Atene del tiranno fosse una democrazia con vocazioni di imperialismo assai più simile alla Germania della Merkel che alla Grecia di Tsipras.

Alla valutazione del premier stesso, poi, si sono prestate una serie di immagini, che hanno avvicinato, agli occhi del grande pubblico, dei ed eroi che finora solo il cinema hollywoodiano era stato in grado di incarnare agli occhi dei più: il protagonista tragico al bivio, perennemente in bilico fra l’eroe Milziade e il traditore Efialte (fig.1) oppure il novello Dioscuro insieme al suo fedele compagno Varoufakis, che peraltro non si tirava indietro nel mostrare sovente la sua dimestichezza con cavalli di adeguata modernità

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Ed è stato proprio quest’ultimo, così incline al successo mediatico da mettere a repentaglio la sua professionalità, il soggetto principe della creazione di tutta una nuova serie iconografica che ha parodizzato, a volte persino “fumettizzato” i protagonisti di una cronaca politica grave ed urgente, sublimandoli al rango degli eroi della nostra letteratura e mitologia.

Il assai suo poco elegante dito medio alzato contro la politica tedesca, in seguito rivelatosi un falso, è stato accolto a mo’ di rivisitazione parodica della spada sguainata da un novello Leonida a guidare gli spartani alle Termopili, diventando poi il modello sul quale molte delle immagini più famose che la classicità abbia trasmesso agli spettatori moderni sono state rilette ed attualizzate.

Così quelle statue che finora erano sembrate il prototipo della perfezione e dell’eleganza, hanno alzato il novello “vessillo” a supporto della causa nazionale, incuranti del fatto di poter mettere a repentaglio il sostegno millenario alla loggia dell’Eretteo, come nel caso delle Cariatidi, o generose di un braccio inaspettatamente ritrovato come la Venere di Milo (fig.2); pure il cavallo di Troia ha mutato le sue fattezze per giocare l’ennesimo brutto tiro al nemico (fig. 3)

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L’immagine quanto mai paradossali di un’acropoli ateniese eretta sulla sabbia e dedicata a Tsipras è servita forse a esorcizzare il pericolo di nuove Cassandre (fig.4), mentre le colonne del Partenone si piegavano a dare il loro sostegno al voto “OXI“ con cui la Grecia si è opposta alle pretese europee (fig.5).

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Sui muri delle strade è comparso pure il discobolo nell’atto di lanciare non il più canonico attrezzo ma l’euro, ribadendo, nel gesto, il voto della Grecia referendaria: OXI (fig. 6).

 

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La parodia si è ovviamente ampiamente espressa nelle vignette attraverso le quali giornali e riviste hanno spesso commentato la situazione politica attraverso le differenze culturali: così la scuola filosofica ateniese, che abbraccia secoli di pensiero speculativo mediterraneo, si è ritrovata accostata ai villaggi preistorici simbolo delle presunta arretratezza germanica; gli eroi dipinti sui vasi greci hanno abbattuto, a forza di calci giapponesi quasi non avessero armi ben più efficaci, una Medusa che nelle sue esotiche fattezze femminili doveva simboleggiare la Germania o l’Europa settentrionale; allo stesso modo il sostegno promesso dall’Unione Europea si è debitamente trasformato in un nuovo colonnato per il Partenone (fig.5) e quello stesso Partenone, quasi non avesse subito nei secoli assalti a sufficienza, è stato costretto da un manipolo di crudeli invasori dal Nord, a tirare la cinghia (fig.6)

 



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