Vuoi sapere una differenza tra scienza e filosofia?
La scienza congettura quel che non c’è ancora, quindi sa o tenta di prevedere (non predire!) qualcosa del futuro; la filosofia afferma ciò che c’è ed è cieca sul divenire, di cui sembra non volerne sapere (almeno in versione parmenidea stretta). Due esempi, uno per parte.
Formulate le equazioni del campo elettromagnetico, in base alla loro scrittura formale, Maxwell previde l’esistenza delle onde hertziane; Hertz le scoprì sperimentalmente 24 anni dopo. La vicenda del bosone di Higgs è più vicina a noi e non è meno significativa.
Wittgenstein, l’ultimo grande filosofo della matematica e della psicologia (bizzarro connubio!), contestò il formalismo di Hilbert e propose una forma di pragmatismo (la matematica è l’uso di procedure simboliche inedite), ma non seppe prevedere il prossimo – imminente – sviluppo non formalista della matematica a opera della teoria delle categorie a metà dei mitici anni Quaranta; (Wittgenstein morì nel 1951).
Infatti, Eilenberg, Steenrood e Mac Lane, provenienti dalla topologia, sospesero sul nascere l’approccio formalista-insiemista alla Bourbaki; proposero una generalizzazione della teoria degli insiemi e quindi la indebolirono; passarono dagli insiemi destrutturati alla Cantor a insiemi strutturati in qualche modo (algebrico, ordinale, topologico); in particolare Grothendieck e Lawvere, con le particolari categorie chiamate topoi (a ricordo dell’origine topologica), unificarono da un punto di vista superiore le diverse logiche: classica, intuizionista, epistemiche, deontiche e modali.
Di questo la nostra accademia sa poco; noi, il popolo, ancora meno.
Corollario politico: disponendo (o credendo di disporre) di certezze, la filosofia pretende convincere il popolo della loro verità, sin dai tempi di Aristotele, che a tal fine approntò e mise in circolazione un trattato di Retorica. Per contro, non avendo certezze da im-porre ma solo congetture da es-porre alla pubblica confutazione, la scienza non pretende convincere nessuno. (Heidegger mi ha insegnato l’uso del trattino, che va bene per le parole composte tedesche, ma in italiano fa ridere). In ciò la scienza risulta più essoterica (democratica, senza autore prevalente) della filosofia, che rimane esoterica (aristocratica, con autore prevalente).
Pensaci bene: come si può convincere qualcuno delle proprie incertezze? Cartesio non ha mai convinto nessuno.
Tuttavia, …
Se il discorso si concludesse qui, la differenza tra scienza e filosofia finirebbe a coda di pesce, nella reciproca separatezza, senza alcun guadagno effettivo né dall’una né dall’altra parte. Ma la differenza non può essere pensata senza ripetizione, ammonisce Deleuze; soprattutto non va ridotta a opposizione, tanto meno a contrapposizione, continua ad ammonire due pagine più in là il filosofo di Differenza e ripetizione (1968). Forse pensa alla ripetizione come ciò che restituisce a ciò che è stato una differenza: la possibilità di essere ancora, riassegnando all’evento in atto la potenza che gli ek-siste e che non si è esaurita in esso.
Non lo so; non so fare filosofia, ma so prendere la palla filosofica al balzo e rilanciarla a modo mio.
Darwin ha ripensato la natura della vita. In natura non c’è quella cosa che il filosofo ha chissà come escogitato e chiama “eterna ripetizione dell’identico”. In natura c’è, invece, la “provvisoria riproposizione del diverso”, cioè piccole differenze che si diffondono. Decisivo in questa tesi è l’aggettivo; “piccolo” non va inteso in senso quantitativo, come meno grande, ma qualitativo, cioè come leggermente diverso. (Le ricorrenze del lemma different nell’Origin of Speciessono 840 contro le 567 del lemma selection. La variabilità viene concettualmente prima della selezione). La piccola differenza che gioca in natura è qualitativa; è la piccola diversità che passa tra genitori e figli. Tali piccole differenze, se estese, formano la variabilità delle popolazioni biologiche, che i regni vegetali e animali ospitano.
Pensare la variabilità – ecco la sostanziale differenza tra pensiero filosofico e scientifico. Il filosofo pensa le essenze, che non variano; pensa secondo modelli ideali fissi, le idee platoniche; lo scienziato, invece, pensa per variabili, che assumono valori diversi, su cui il collettivo scientifico può fare diversi tipi di calcolo (deterministici o indeterministici, qualitativi o quantitativi) e desumere vari tipi di congetture, mai certe, sempre più o meno probabili, sull’evolvere dei sistemi che tali variabili descrivono sempre solo in parte, da mettere di volta in volta alla prova collettivamente, confutandole o confermandole. Pensare la variabilità implica una divisione del lavoro, come nel classico esempio di Adam Smith la produzione di spilli. C’è chi formula la congettura; chi la inserisce in una teoria più vasta; chi la sottopone a controllo sperimentale; chi critica gli esperimenti ecc. Tutti sono necessari; tutti cooperano e la macchina “non può se non avanzarsi”, come dice Galilei.
In biologia variabilità vuol dire vita. Un esempio classico: il ghepardo che ha un genotipo poco variabile – ridotto quasi all’essenziale e paradigmatica “ghepardità” – è a rischio estinzione. Basta una minima e imprevedibile variazione ambientale e tra i ghepardi non si trova quella variante (dovrebbe essere una coppia di ghepardi) che potrebbe sopravvivere nell’ambiente modificato e generare ghepardini diversi dai non sopravvissuti; a quel punto il ghepardo e la sua linneana ghepardità sono kaput.
C’è un meccanismo biologico a tutti noto grazie al quale la diversità si automantiene: è la sessualità. Non parlo degli affascinanti teoremi che descrivono i meccanismi di autoregolazione finalizzati a conservare e rendere costante la variabilità (non è un paradosso). Basta una semplice osservazione: in natura le specie partenogenetiche sono poche, perché sono meno resistenti, per esempio, rispetto all’insorgenza di mutazioni letali.
Fine della mia lezione sul darwinismo. (Spero che serva. Darwin è un autore che i filosofi continentali conoscono poco e praticano ancora meno). Aggiungo solo che tra diversi si creano equilibri diversi e non sempre prevedibili. Il termine giusto è “contingenti”. In biologia si tratta di equilibri oscillanti tra prede e predatori, tra parassiti e commensali, tra competitori per le stesse fonti di cibo e di procreazione.
Però, …
Con l’entrata in scena di Homo sapiens la biologia cambia drasticamente e non è detto che sia in meglio.
A differenza dei suoi collaterali scimpanzé, l’uomo non solo compete con i simili (poco diversi) ma collabora. E più c’è diversità nella somiglianza più la collaborazione riesce utile a tutti i collaboranti per via della “spontanea” divisione del lavoro, che permette di acquisire forme di lavoro più complesse ed efficienti anche a livello morale. Sull’interessante nozione di “divisione del lavoro morale”, che corregge l’esasperato e assurdo individualismo etico di Kant rimando al capitolo vi dei Paradossi dell’uguaglianza (1991) di Thomas Nagel (trad. R. Rini, Il Saggiatore, Milano 1993). Anche la morale, come la scienza, non si fa da soli.
L’acquisizione catastrofica, circa 60.000 anni fa, fu il linguaggio, con tutte le innumerevoli possibilità di menzogna e di reciproco fraintendimento che ciò ha comportato – come tra filosofi e scienziati. La successiva acquisizione, più recente, giovane solo di pochi secoli, fu proprio la scienza e si prospetta non meno catastrofica del linguaggio. Non so come sarà domani; quel che vedo oggi è che la filosofia si può fare da soli, a livello di scimpanzé, ma la scienza no: per fare scienza bisogna cooperare, come ho già detto. Hai mai visto uno scimpanzé ritirare un premio Nobel?
Concludo. La differenza tra scienza e filosofia può essere il luogo di una collaborazione feconda tra filosofi e scienziati su un tema politico di fondo: l’ideologia. Non lo affermo io; ci sono fior di filosofi sia di area analitica, come Putnam, sia di area continentale, come Althusser, che lo sostengono. Citodel secondo: “La distinzione tra lo scientifico e l’ideologico è interna alla filosofia” (L. Althusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati. Corso di filosofia per operatori scientifici (1967) trad. F. Losi e M. Ruta, Unicopli, Milano 2000, p. 166), posto che “il rapporto della filosofia con le scienze costituisce la determinazione specifica della filosofia” (Tesi 24, ivi, pp. 59-60). Scienziati e filosofi possono collaborare a bonificare il terreno culturale in cui viviamo dall’inquinamento ideologico. L’ideologia è un male necessario della civiltà; è lo strumento con cui il potere governa; è il compromesso con cui i governati si adattano a vivere quieti nel conformismo. Però sarebbe meglio monitorare questo male, che poi è una menzogna.
Questo lavoro sarebbe possibile grazie alla benvenuta differenza tra scienza e filosofia e all’interazione positiva (non è una parolaccia; è il termine scientifico per dire “collaborazione”) tra filosofi e scienziati.
Allora, viva la differenza!