Il tema delle migrazioni è un soggetto storico nel Mediterraneo, anche per la sua caratteristica di insieme chiuso, un lago salato come lo ha definito lo scrittore Pedrag Matvejevic, che ha portato intrecci, tra incontri, scontri e fusioni talora involontarie. Nel Novecento e poi negli ultimi decenni tale processo ha registrato un’impennata; finché negli ultimi anni ha preso la forma di un’emergenza e, a mio parere, di un’opportunità rispetto alla quale non si può più tacere. I rischi insiti nei flussi irregolari, connessi al rischio anche della vita, e la necessità di valorizzare più pienamente i percorsi di regolarità, hanno ispirato anche il progetto IPRIT (Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia), finanziato dal Ministero dell’Interno italiano, che si è proposto di migliorare la situazione, favorendo un’immigrazione informata e consapevole. A condurre il progetto è il Centro Studi e Ricerche IDOS di Roma, in collaborazione, a livello associativo, con l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Marocco (ANOLF Maroc e ANOLF Tunisia) e con la Fondazione Mondo Digitale (FMD) e, a livello istituzionale con le Ambasciate in Italia del Marocco e della Tunisia, le due comunità straniere più presenti nel Belpaese.
Se leggiamo la realtà italiana dal punto dei flussi in arrivo, stando a quanto emerge dal progetto (II annualità 2014) Iprit, è il Marocco il principale paese extra UE da cui provengono gli immigrati in Italia, con oltre mezzo milione di soggiornanti; mentre alla Tunisia fa riferimento una comunità che supera le 100mila persone. Con questi due Paesi, anche in questi anni di crisi, continuano i flussi migratori, seppure non sempre con una tutela adeguata e la piena conoscenza di quanto consente la normativa. Il progetto si concretizza nella formazione di 25 operatori in ciascun Paese, prescelti nel settore pubblico e sociale, che, una volta formati, potranno essere informatori corretti di quanti intendono emigrare in Italia. A supporto del progetto sono state curate, in lingua italiana e francese, due Guide, rispettivamente per il Marocco e per la Tunisia, nelle quali oltre ad una storia sull’insediamento in Italia della rispettiva comunità, introduce alla normativa italiana in materia di immigrazione. E’ stato fatto anche un lavoro specifico per la realizzazione di un Glossario in lingua araba, sui termini inerenti l’immigrazione, con il loro corrispettivo in italiano e un volume sulla sicurezza sociale italiana, nelle implicazioni concernenti gli immigrati. A tal fine sono state organizzate due sessioni che si sono tenute, rispettivamente il 31 gennaio 2015 a Casablanca e il 9 febbraio a Tunisi.
La conoscenza d’altronde, specialmente quando viene attuata nel quadro di una collaborazione bilaterale, costituisce la via maestra per tutelare i diritti e prevenire gli sfruttamenti, facendo del fenomeno migratorio un’occasione di crescita personale e di collaborazione tra i Paesi interessati: questo, in estrema sintesi, è il significato del progetto.
L’iniziativa di Tunisi del 9 febbraio in particolare, in un’ottica di cooperazione bilaterale, tiene conto anche del passato degli italiani in Tunisia. Non sono pochi e c’è stato un tempo nel quale la presenza italiana era significativa numericamente quanto in termini di valori.
La Tunisia ha costituito infatti un importante sbocco per gli emigrati italiani, anche prima del Protettorato francese, inizialmente con un’emigrazione di élite e, quindi, di professionisti, esuli e lavoratori in cerca di occupazione. Poi, un’emigrazione di artigiani e persone umili, sempre ben accolte e ben volute in Tunisia. A parte l’emigrazione storica dalla fine del 1500, da Genova e Livorno, in particolare, legata al mondo ebraico; nell’Ottocento l’emigrazione italiana in Tunisia, durante la colonizzazione francese, dal 1881, e fino alla seconda guerra mondiale è diventata di massa. La terra del sud offriva d’altra parte lavoro a chiunque fosse disponibile e avesse un mestiere in mano ed era da sempre abituata a dialogare con tradizioni religiose diverse. Gli italiani in Tunisia erano 88.000 nel 1911 e nel dettaglio: pescatori, marinai e operai agricoli (versati specialmente nella coltura della vite), lavoratori in edilizia, in provenienza specialmente dall’Italia meridionale, e soprattutto dalla Sicilia (trapanesi) e dalla Sardegna (soprattutto minatori). Oltre che di lavoratori dipendenti, si è trattato anche di piccoli proprietari terrieri (2.380 nel 1932). Nonostante le restrizioni varate dai francesi nei confronti degli italiani nel periodo fascista e specialmente dopo lo scoppio della guerra, gli italiani erano ancora 66.000 nel 1956, ma tra il 1959 e il 1966 ben 40mila gli italiani hanno lasciato il Paese.
L’emigrazione italiana in Tunisia consente di individuare molti spunti di riflessione sull’attualità, come ad esempio sulle implicazioni del multiculturalismo e dell’assimilazionismo, la tendenza alla tipizzazione degli “stranieri” – si parlava ad esempio del pericolo italiano e della questione italiana, fortemente sentita in quanto quella collettività era più consistente di quella francese – il varo di normative discriminatorie nei confronti dei gruppi minoritari, il mancato riconoscimento dei titoli e il divieto di accesso alle professioni liberali. Questi temi conservano piena attualità, seppure secondo diverse forme, anche nell’odierno panorama migratorio.
A partire dagli anni ’60 del Novecento ha preso forma un’emigrazione di nuovo tipo dall’Italia verso la Tunisia, che coinvolge soprattutto il mondo imprenditoriale e quello delle libere professioni e che si affianca alla presenza dei discendenti della comunità italiana del passato. Nell’insieme, oggi, secondo i dati Aire aggiornati a fine 2013, gli italiani residenti in Tunisia sono poco più di 3.000 (3.592, di cui il 44,6% donne), di poco superiori ai 2.966 (di cui 1.291 donne) registrati come residenti in Marocco. La rivolta tunisina del gennaio 2011, considerata anche alla luce di questo passato migratorio, sollecita la promozione di nuove politiche e di nuove forme di cooperazione, valorizzando al meglio le potenzialità dell’immigrazione in una prospettiva di partecipazione, di mediazione e di promozione dello sviluppo.
Se passiamo ad analizzare l’emigrazione tunisina in Italia, dopo l’indipendenza della Tunisia nel 1956, la mancanza di occupazione in loco ha originato consistenti i flussi migratori verso l’Europa e specialmente verso la Francia. In Italia, alla fine degli anni ’60, i primi arrivi sono stati quelli dei pescatori a sostegno della flotta peschereccia di Mazara del Vallo, dove nel 1981 è stata creata la prima Scuola Tunisina istituita in Europa. Successivamente, la restrizione degli ingressi in Francia e nel Nord Europa ha favorito la rotta verso l’Italia, paese più vicino, contando per l’accoglienza sulla disponibilità di parenti e amici e inserendosi negli ambiti lasciati scoperti dagli italiani.
L’Italia è il secondo paese europeo per numero di tunisini dopo la Francia (122.000 rispetto a 191.000), senza tenere conto di quelli naturalizzati. Tra gli altri Paesi europei, oltre alla Svizzera (quasi 7.000 presenze) e il Belgio (oltre 4.500 presenze), sono pochi i paesi che superano le 1.000 presenze (Austria, Spagna, Romania e Svezia).
Nel 1990, all’inizio di una grande fase di crescita dell’immigrazione in Italia, gli stranieri sono circa mezzo milione e i tunisini 42.000, mentre attualmente la presenza straniera è aumentata di 10 volte e quella tunisina triplicata (122.000 presenze alla fine del 2013), soprattutto a seguito delle regolarizzazioni (6.574 domande di tunisini nel 2009 e 4.557 nel 2012), delle quote privilegiate (30.000 persone tra 2000 e 2011, ultimo anno in cui sono state previste) e, specialmente negli ultimi anni, dei ricongiungimenti familiari (2.873 nel 2013 contro 1.878 ingressi per motivi di lavoro e 310 per motivi di studio).
Nell’ultimo triennio il livello della loro presenza è rimasto sostanzialmente stabile. Attualmente i tunisini sono un sesto dei nordafricani in Italia e al decimo posto tra le collettività non UE.
La tendenza all’insediamento stabile viene attestata dall’elevata incidenza tra i tunisini dei titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo (pari ai due terzi dei soggiornanti, con 10 punti percentuali in più rispetto alla media). Le regioni Emilia Romagna e Lombardia detengono, ciascuna, un quinto di queste presenze.
Si tratta di una popolazione giovane, che ha un’età media al di sotto dei 30 anni e per circa un terzo (31%) è costituita da minori. Sono circa 2.000 i nuovi nati tunisini registrati ogni anno in Italia. Gli alunni tunisini nelle scuole italiane sono circa 20mila e sono maggiormente presenti nella scuola elementare.
Nel 2013 il tasso di occupazione dei cittadini tunisini scendendo al 46,2% (meno 8 punti rispetto all’anno precedente) è risultato più basso di quasi 10 punti in meno rispetto alla media degli stranieri non comunitari; il tasso di disoccupazione è salito al 25,9% (era al 17,5% solo nel 2012). In questi anni di crisi, caratterizzati dalle difficoltà crescenti nei settori manifatturiero e dell’edilizia, ad offrire maggiori opportunità di assunzione si confermano le costruzioni (26,8% degli occupati tunisini), ma rappresentano la pesca e l’agricoltura (19,3%, 15 punti in più rispetto alla media dei non comunitari) i settore che più caratterizzano questa collettività.
Il livello di istruzione dei lavoratori tunisini nel 2012 era più basso rispetto alla media degli stranieri e, pur avendo solo un quarto degli occupati un diploma di studi superiori (e tra di essi solo il 3,6% un’istruzione universitaria), è aumentata la percentuale dei lavoratori sovraistruiti rispetto alle mansioni loro affidate. La metà degli occupati di origine tunisina ha percepito nel 2012 un reddito mensile inferiore ai 1.000 euro, mentre un tunisino su tre ha un reddito tra i 1.001 ed i 1.250 euro.
Negli anni 2000 sono notevolmente aumentate le attività imprenditoriali degli immigrati in Italia, anche dopo la crisi del 2008. Nel 2013 le imprese individuali di immigrati sono 400.976 e quelle in capo a un immigrato tunisino, per un quinto guidate da donne, sono 12.976 (3,2% del totale), aumentate annualmente di meno rispetto alla media (2,9% rispetto a 3,8%). I settori prevalenti d’impegno imprenditoriale sono le costruzioni (circa la metà delle imprese) e il commercio (38%), ma è significativo anche l’impegno in agricoltura (tre punti percentuali oltre la media).
Le rimesse inviate dall’Italia, che avevano superato i 100 milioni di euro nel 2007, sono andate costantemente riducendosi in questi anni di crisi e si sono attestate sui 48,8 milioni di euro nel 2013.
Nel 2011, l’inizio della “Primavera araba” e l’afflusso consistente sulle coste italiane di persone in fuga dai tumulti (sono entrati in Italia 19.638 tunisini) hanno determinato un’emergenza, cui si è fatto fronte con il rilascio dei permessi di soggiorno rilasciati per asilo e motivi umanitari, che sono stati 42.672 (di cui il 27,3% a cittadini tunisini) rispetto ai 10.336 dell’anno precedente, e con la richiesta al Governo tunisino di un maggior controllo sui flussi.
La Tunisia si accredita come un efficace punto di partenza per un ponte con l’Italia, e i due Paesi condividono l’aspirazione a fare del Mediterraneo uno spazio comune di solidarietà, di uguaglianza, di giustizia e di prosperità, avviando un dialogo tra l’Europa cristiana e il mondo musulmano.