Fusaro e la miseria dell’anticapitalismo romantico

In una certa misura sono grato a Diego Fusaro di aver ispirato questa mia risposta con il suo provocatorio testo sul presunto superamento, in età contemporanea, della contraddizione fascismo-antifascismo che ha aperto il dibattito di «Scenari» sulla questione. Il suo scritto lo considero ovviamente in modo molto negativo. Ma ha senz’altro il pregio di esternare teorie che da oltre mezzo secolo hanno libero corso anche a sinistra e che ultimamente stanno dilagando, complici anche l’oblio della memoria storica.
Nel caso di Fusaro, tali teorie hanno la peculiarità di non essere presentate come mera eredità del Nazional-bolscevismo tedesco degli anni venti del novecento, dei movimenti comunitaristi di destra ispirati dall’ex-volontario belga delle Waffen-SS Jean Thiriart nel 1960, dei nazi-maoisti italiani alla fine degli anni Sessanta, delle teorie di Armando Plebe degli anni settanta o di quelle di Costanzo Preve che ispirarono i Campi antimperialisti di qualche anno fa, con la partecipazione congiunta di elementi ultrasinistri e fascistoidi.
Ora, la galassia della nuova destra dichiaratamente fascista o post-fascista degli anni sessanta, fino alla fine del Secolo breve, si è resa protagonista, soltanto in Italia di centinaia di omicidi, è stata coinvolta in quattro mistreriosi tentativi di golpe militari, nonché in quasi tutte le tristementi note Stragi di Stato, dal 1969 al 1980. Ancor oggi non passa giorno che i Fascisti del terzo Millennio non ripropongano raid anti-emigrati o anti-rom, assalti a sedi di sinistra, omicidi, azioni antisemite e affini. Per essere un fenomeno del lontano passato, mi sembra una pratica politica quanto meno vivace.
Particolarmente fastidiosa è la peculiarità di Fusaro, che è notoriamente un serio studioso delle teorie marxiane, di utilizzare il linguaggio peculiare del filosofo di Treviri per difendere le teorie proprie della destra più retriva e reazionaria. Eppure proprio Marx, nel Manifesto, aveva messo in guardia i suoi lettori dalle lusinghe di un anticapitalismo aristocratico, che criticava il presente alla luce delle vecchie tradizioni del passato reinventato ideologicamente. Un altro grande marxista sicuramente ortodosso, György Lukács, aveva autocriticato un suo stesso anelito giovanile di quel tipo, negli anni dieci del Novecento, definendolo come “anticapitalismo romantico”. La definizione mi pare calzante a pennello.
Ora, Fusaro non me ne voglia per il tono esacerbato, ma chi scrive si sente tirato in causa come da un pugno nello stomaco. Alcuni dei miei parenti, infatti, hanno terminato la loro esistenza terrena in un luogo chiamato Mauthausen e ho avuto l’onore di avere per padre partigiano combattente. Gli dedico volentieri queste poche righe. La sua prematura scomparsa, nel 1990, gli ha almeno evitato di aver sentore di questa miseria.
“Se fossi vissuto ai tempi del Ventennio, sarei con ogni probabilità stato antifascista”. Così Fusaro, dotato di macchina del tempo si rilegge, come Gramsci e di Gobetti, oppositore in una sua altra vita parallela nel Ventennio nero dell’Italietta del Novecento. 
Posso nutrire qualche dubbio? Oggi il narcisismo mediatico, nella produzione dello spettacolo diffuso, lo spettacolare integrato (Debord) può vestirsi da opposizione radicale ed essere accolta con successo dai talk-show, a fianco dei dibattiti sui segni zodiacali delle casalinghe cornute o sui miracoli di Padre Pio. Più una tesi è altisonante, più è mediaticamente diffusa. Quando c’era Lui, caro Lei, predominava invece, direbbe sempre Guy Debord, uno spettacolare contentrato, con un regime che gestiva tutti i media, radio, giornali e cinegiorrnali. Per poter emergere come commentatore e opinionista, in un mondo desolatamente privo di Internet, il nostro Fusaro avrebbe dovuto sforzarsi di aderire al regime, anzi, avrebbe avuto grande successo estremizzando, magari con accenti un po’ marxisti, le direttive del Minculpop. Avrebbe potuto rifarsi a esempi illustri di inizio secolo: nel 1911, il grido pascoliano sulle “nazioni borghesi” come l’Inghilterra, “perfida Albione” contrapposta alle “nazioni proletarie” come l’Italia. Oppure, Fusaro avrebbe potuto insistere sull’idea, assai cara ai camerati d’Oltralpe, del complotto demo-pluto-giudaico e massonico. In fondo, la regia delle forze oscure del Capitale, cui il nostro Diego tanto ama contrapporsi, e che per lui s’incarna nell’imperialismo Usa, passa proprio per i perfidi ebrei del cimitero di Praga, nonché in tempi più recenti, ma non meno tragici, per il Sim (Stato imperialista delle multinazionali) che piaceva tanto alle Brigate Rosse negli anni Settanta.
Fusaro ci avrebbe aggiunto sicuramente un linguaggio marxianamente adeguato. Sdoganare Marx come precursore del fascismo nel Ventennio, che idea… Magari non sarebbe dispiaciuta al buon Benito, in fondo anche lui era stato socialista. Se non altro, è quello che Fusaro fa oggi.
Un esempio: la destra radicale sostiene da tempo che è in atto un’invasione di migranti extracomunitari, che inquineranno la nostra bella civiltà cristiana e toglieranno lavoro ai lavavetri autocnoni. Quindi, bisognerebbe respingere i barconi, lasciarli alla deriva e lasciar affogare quei profughi (cosa che in effetti già si fa, ne sono morti a migliaia…). Fusaro invece cosa ci dice? La stessa cosa, solo che per lui, i migranti sono chiamati in Italia dalla cabina di regia del capitalismo americano e multinazionale, che vuole indebolire la classe operaia autoctona, ricattandola con l’esercito industriale di riserva rappresentato dai migranti stessi.
Altro esempio: La destra tradizionale lamenta la crisi dei valori famigliari, e rivendica la diade uomo-donna che esclude tutte le forme di sessualità alterative e condanna al manicomio o alla clandestinità omosessualità e sensibilità sessuali differenti. Fusaro ce la racconta così: è il capitalismo che, ancora una volta, vuole un unico soggetto bisex, prono al consumismo, per poterlo meglio dominare, mentre i sessi, nonché la corretta scelta sentimentalsessuale sarebbero, ovviamente, per “natura”, solo due. Strano che Fusaro, che è un buon marxista, abbia dimenticato la lezione di Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato (1884), in cui si teorizza l’origine sociale e non certo biologica di ogni forma di famiglia, frutto di una serie di rimodulazioni in cui l’attuale coppia monogamica non è evidentemente che un ulteriore passaggio.
Riassumendo, la destra estrema fa il suo mestiere: è razzista, omofoba, nazionalista, antisemita e sciovinista. Fusaro pure. Però con tante belle citazioni di Marx.
Tra parentesi, trovo disdicevole che Fusaro non sia andato a dibattere con i suoi sodali di CasaPound. Se li giudica soggetti utili per la sua campagna anticapitalista e antimperialista, non dovrebbe farsi spaventare da minacce di presunti anarchici e quant’altro. Personalmente, un centro che ha tra i suoi accoliti noti picchiatori e sicari di tifoserie avverse, assassini di ambulanti senegalesi e sprangatori di militanti antifascisti non lo frequenterei neanche per un caffè, ma chi ritiene che nel nome dell’anticapitalismo si possano sdoganare anche i fautori del “Fascismo del terzo millennio” ha il diritto-dovere di andare a conoscere i suoi nuovi alleati.
Fusaro, che è un marxista di ben larghe vedute, saprà certo collocare storicamente e reinterpretare il livore e il dolore che mi provocano le sue posizioni. L’idea bislacca che i milioni di morti causati dal nazifascismo siano un accidente della storia da rottamare, e che oggi i combattenti per la libertà siano di volta in volta gli oligarchi russi, i fondamentalisti islamici o la Corea del Nord non mi lascia solo qualche ragionevole dubbio, mi rivolta lo stomaco.
Il dissidio con le tesi sul superamento dell’antifascismo che propugna Fusaro non sarà mai riconducibile ad una questione accademica. Si tratta di carne e sangue. E il sangue è stato versato da intere etnie, come gli ebrei e i rom, da chi aveva impulsi sessuali differenti, da socialisti, comunisti, anarchici o semplicemente liberaldemocratici.
Chi sostiene la fine della contraddizione radicale con il fascismo è un “utile idiota” (termine che a Fusaro stesso piace molto, lo rifila a destra e a manca) che apre le porte al vaso di Pandora del male.
Certo, i fascismi storici del primo Novecento sono stati sconfitti, anche se ci è voluta una guerra mondiale, e il contributo decisivo, oltre che dell’Urss, dei “terribili” imperialisti anglo-americani. Ma è il caso di ricordare che, solo in Europa, regimi analoghi sopravvissero in Spagna, Portogallo e Grecia, col beneplacito degli Stati uniti e dell’Europa, fino a metà degli anni Settanta. Fusaro è giovane, e nonostante il suo materialismo storico sembra un po’ confuso sulle date della storia reale, fa bene Andrea Zhok – nel suo intervento sulla questione – a ricordargliele. Ma Zhok concorda in fondo con la tesi fusariana dell’antifascismo da rottamare, in assenza di fascismo. Per Zhok, la cui critica “liberale” mi sembra per certi versi persino più conservatrice di quella di Fusaro stesso, il problema sarebbe piuttosto la discriminante anticapitalista e antimperialista propugnata il rivoluzionario Diego. Per la verità il liberal-progresso americano si è alleato benissimo in tutto il mondo con le Nazioni più retrive e autoritarie, dall’Arabia Saudita, alle monarchie assolute del Golfo, ai regimi più sanguinari del continente africano e così via. Niente di strano, del resto è ben nota l’interdipendenza del consumismo americano con la produzione capitalistica cinese (la prima del mondo)…
Anche Fusaro dovrà concordare con me, peraltro, che la fine dei Fascismi con la F maiuscola nella seconda metà del Novecento lasciò spesso spazio a forme di governo fascisteggianti, tollerate, protette e spesso fomentate proprio dagli Usa e dall’Occidente democratico, nel quadro della cosiddetta “guerra fredda”, in realtà molto calda, contro il blocco socialista. Cosaltro erano i regimi militari e autoritari dell’America latina, delle Filippine, di gran parte del Sud-est asiatico, nonché di buona parte del continente africano, che solo da pochi anni hanno perso il potere?
Certo, si trattava di totalitarismi che non sono omologabili in toto all’ideologia costruita da Mussolini e Hitler negli anni venti e trenta del Novecento. In Sud Africa e in Namibia il regime dell’Apartheid, la segregazione dei neri da parte della minoranza bianca, non aveva dato luogo a un partito unico dei bianchi, ma il razzismo degli Africaners era imbevuto delle stesse ideologie che avevano corso nella Germania Nazista. In Cile, i militari dopo il Golpe dell’11 settembre 1973 non instaurarono un’economia statalista, anzi privatizzarono l’intera nazione, applicando per primi nel mondo le ideologie neoliberiste dei Chicago boys, come dimostra tra l’altro un bel lavoro di T. Moulian, Una rivoluzione capitalistica. Il Cile, primo laboratorio mondiale del neoliberismo, editato da Mimesis nel 2003. Tecnicamente, mancando un partito unico e una politica di capitalismo di stato, è forse definibile come un “falso fascismo”, alla stregua dei regimi autoritari dell’Europa dell’Est negli anni trenta (Cfr. M. Ambri, Falsi fascismi. Ungheria, Croazia, Romania (1919-1945), Jouvence, Roma 1980). Regimi come quelli sopra citati, anche molto differenti tra loro per le politiche economiche o aspetti ideologici, avevano in comune alcuni tratti peculiari: un nazionalismo esacerbato, la visione totalitaria, l’odio sia per la democrazia liberale che per il comunismo, una forte componente razzista spesso indirizzata verso l’antisemitismo, la repressione delle minoranze etniche, politiche e religiose all’interno delle nazioni, la tendenza a scatenare guerre contro i vicini.
Possiamo discutere accademicamente se il Cile di Pinochet o l’Argentina di Videla possano esser definiti fascisti. Peersonalmente, trovo che i superstiti della mattanza dello stadio di Santiago, e i parenti delle migliaia di vittime del golpe cileno, nonche le donne di Plaza de Majo, madri dei trentamila desaparacidos argentini non abbiano avuto dubbi. Quelle erano dittature fasciste, originate da golpe militari, e le juntas che governavano quelle nazioni perpetrarono innumerevoli delitti e violazioni dei diritti umani fondamentali, proprio nel nome della lotta al marxismo.
Certo, non tutte le caratteristiche dei totalitarismi del Novecento possono essere attribuiti solo ai Fascismi propriamente detti del 1922-1945, né ai fascismi delle dittature ispirate dal Dipartimento di Stato americano dal dopoguerra agli anni novanta.
Alcuni di questi tratti, storicamente, sono propri di tutti, ma proprio tutti, gli Stati nazione del Novecento. Non c’è bisogno di scomodare le opere di Lenin sull’imperialismo, per verificare come le responsabilità della prima guerra mondiale siano attribuibili tanto alle democrazie borghesi dell’Europa occidentale e del Nord America quanto agli imperi autoritari dell’Europa centrale e orientale.
Così pure, se ce ne fosse bisogno, si può concordare con l’analisi di Hannah Arendt sulle origini del totalitarismo novecentesco che esordisce non con gli orrori del Nazifascismo in Europa o dello Stalinismo in Urss, ma con l’analisi dell’aggressione coloniale Europea agli altri continenti. Le democrazie occidentali, dall’Inghilterra alla Francia, dall’Olanda al piccolo Belgio, non solo non applicavano la loro democrazia alle nazioni colonizzate, ma praticavano forme di coercizione che ripristinavano di fatto lo schiavismo e talvolta il genocidio per intere popolazioni. Gli antenati dei primi lager e gulag furono sperimentati nelle colonie inglesi, francesi, belghe, olandesi tedesche e anche italiane ben prima dell’Olocausto degli ebrei nella Seconda guerra mondiale.
Il fatto poi che il blocco sovietico e gli stati del socialismo reale fossero antagonisti delle economie di mercato occidentali, e che grazie al mondo bipolare molti stati del cosiddetto terzo mondo siano riusciti conseguire, a volte a caro prezzo, come l’Algeria o il Vietnam, la loro indipendenza nazionale, determinando la fine del colonialismo in tutto il mondo, non può esimere nessuno dal dimenticare la natura totalitaria assunta dall’Urss e dagli altri Paesi dell’Est dopo la presunta vittoria della rivoluzione socialista. Le vittime dei Gulag in Urss, dei campi di lavoro cinesi, dei manicomi criminali in cui si rinchiudevano i dissidenti, dei processi agli stessi dirigenti comunisti caduti in disgrazia, si contano a milioni, così come le vittime di dissennati piani quinquennali che provocarono enormi carestie sia in Urss che sucessivamente in Cina.
Ma veniamo alla fase attuale: la fine del Fascismo propriamente detto, così come la caduta dei regimi autoritari dell’Europa dell’Est ha lasciato ancor oggi una scia di regimi totalitari fascistizzanti, che magari lasciano sopravvivere una parvenza di democrazia, ma coltivano l’estremismo nazionalista, pulizia etnica, antisemitismo e quant’altro. La mappa dell’Europa dell’est, dopo l’esplosione della Yugoslavia e dell’Urss, somiglia sempre più ai sogni nazional-socialisti. In Croazia, in Ungheria, in Ucraina si ripescano simboli e tradizioni dei regimi alleati con Hitler e Mussolini nel 1941 (e sempre di più l’antisemitismo). E fascista, non in senso letterale ma nei fatti – il disprezzo per le donne, per i diversi, per le minoranze etniche, religiose e linguistiche – è proprio anche dei fondamentalisti islamici che dall’Afganistan alla Nigeria, passando per la Siria e l’Iraq, compiono i loro massacri quotidiani come professione di fede. Mi spiace per Fusaro. È un dato di fatto che gli Usa sono la potenza dominante, e ogni democratico che si rispetti ha il dovere di mostrare le contraddizioni e le nefaste conseguenze delle sue politiche in molti scenari mondiali, dall’Afganistan, all’Iraq alla Siria, senza contare la nefandezza di Guantanamo.
Ma che tale doverosa critica, per una sorta di perversa realpolitik, porti a sdoganare tutti i neofascismi contemporanei, in Italia e all’estero, purché antiamericani, è un pensiero scellerato.



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