Ideologie a doppio taglio. Replica a Diego Fusaro

Le tesi di Fusaro sono interessanti e degne di essere esaminate da vicino. Mi provo a riassumerle, scusandomi in anticipo con l’autore per la necessaria semplificazione. Egli sostiene sostanzialmente: 1) che l’antifascismo (e, simmetricamente l’anticomunismo) siano, nella realtà contemporanea, meri residui ideologici; 2) che tali residui ideologici siano dannosi in quanto, come sempre accade per gli ideologismi, essi sviano il discorso dalla concretezza dei problemi storici e, così facendo, finiscono (forse inavvertitamente) per essere ostacoli alla soluzione dei medesimi; 3) che i problemi storici che richiedono la nostra vigilanza e la nostra viva opposizione sono il capitalismo e l’imperialismo, donde l’appello pervasivo alle istanze dell’anticapitalismo e dell’anti-imperialismo.

In breve, credo che le pagine di Fusaro siano ampiamente condivisibili (con qualche precisazione) per quanto riguarda il primo e secondo punto, mentre credo che corrano il rischio di essere piuttosto fuorvianti con riferimento al terzo.

Provo a spiegarmi, commentandole.

1) La prima tesi di Fusaro, diversamente dalle apparenze, non rappresenta alcuno ‘scandalo’, anzi si tratta di tesi semplicemente ragionevoli. Che essere antifascista in assenza di fascismo sia un modo comodo di conferirsi un’identità è certo. L’antifascismo pubblicamente proclamato è diventato una formulazione retorica almeno dagli anni ’80 del XX secolo. È opportuno precisare, naturalmente, che per essere e dichiararsi antifascisti in modo ‘autentico’ non era necessario essere in presenza del Partito Nazionale Fascista (PNF). Il PNF si estingue il 6 agosto del 1943, ma fino agli anni ’70 sono esistiti in Italia nuclei neofascisti molto attivi (e spesso autorevolmente protetti) ed il tentativo di restaurazione neofascista noto come “Golpe Borghese” risale al dicembre 1970. Dunque essere e dichiararsi antifascisti ha avuto un chiaro (ed encomiabile) senso politico ben dopo lo scioglimento del PNF. Ma è vero che oggi, e oramai da circa tre decenni, l’appello all’antifascismo è prevalentemente, e sempre di più, un atto retorico, un atto che ha tutt’al più l’effetto perverso di incuriosire le giovani generazioni verso un fenomeno che potrebbe, e dovrebbe, essere trattato con distacco storico. Ciò non toglie, sia detto di passaggio, che sussistono ottime ragioni per conservare le disposizioni normative, emerse nel dopoguerra, contro manifestazioni e organizzazioni che si appellino al fascismo: quelle norme non sono retorica, sono memoria storica inscritta nelle leggi e come tale va rispettata.
2) Che l’antifascismo sia un residuo ideologico è dunque vero, come è vero che gli ideologismi sono forme ideali insidiose. L’essenza dell’ideologia sta nel fornire un’immagine mentale apparentemente chiara del proprio oggetto (di odio o di venerazione), immagine la cui ingannevole chiarezza consente di risparmiarsi la “fatica del concetto”, evitando di confrontarsi con la sostanza storica presente. L’ideologia ha una funzione pragmatica non trascurabile, in quanto fornisce un’immagine semplificata di processi storici complessi. Questa funzione può anche avere occasionalmente la sua utilità, può muovere gli animi e creare consenso, ma a lungo termine essa è sempre un ostacolo all’analisi razionale dei processi storici.

3) Fusaro scrive che l’antifascismo sarebbe ideologico in quanto “risorsa simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al profilo culturale del monoteismo del mercato”. L’antifascismo come “arma di distrazione di massa” distoglierebbe dalle vere urgenze politiche del nostro tempo. E quali sarebbero tali urgenze? L’anticapitalismo e l’anti-imperialismo. Ecco, qui temo che l’autore cada nel medesimo errore che egli giustamente imputa alla retorica antifascista: egli si fa latore di una vaga quanto, temo, stantia retorica anticapitalista ed anti-imperialista, e così facendo non fa che sostituire un ideologismo con un altro. Si badi bene, il punto non è di affermare ingenuamente che i problemi esaminati da Marx quanto inventò il termine “capitalismo” stiano serenamente dietro le nostre spalle. Tutt’altro. Il problema è concettuale: ciò che Marx nominava come “capitalismo”, e ciò che marxisti come Rosa Luxemburg e Lenin nominavano come “imperialismo”, ha cambiato pelle e forma più volte, rendendo gli strumenti concettuali che rievochiamo con le parole “anticapitalismo” e “anti-imperialismo” a loro volta residui ideologici. Per poter parlare di anticapitalismo in modo non retorico bisognerebbe poter isolare con chiarezza i limiti di cosa conta come “capitalismo”. Ma cosa corrisponderebbe al termine nell’analisi contemporanea? Le economie di mercato? E dunque l’anticapitalismo sarebbe la negazione dell’economia di mercato? Ma da quando il termine “capitalismo” è stato coniato le “economie di mercato” hanno spaziato dall’America Rooseveltiana a quella Reaganiana, dalla Svezia di Olof Palme al Cile di Pinochet. Se non distinguiamo tra questi modelli (e l’appello all’anticapitalismo non lo fa), allora ci stiamo accanendo contro un fantoccio ideologico, qualcosa appunto che sembra evocare un’immagine chiara della sua natura, risparmiandoci la fatica di esaminare le realtà storiche da vicino. Similmente, se invochiamo l’anti-imperialismo trascurando che il termine faceva riferimento ad un sistema di conquista coloniale permeato di razzismo e nazionalismo, allora stiamo in verità usando di nuovo una categoria vaga e fuorviante. È “imperialismo” ogni apertura globale dei mercati? Anche quelli che hanno prodotto grande sviluppo (caso esemplare, il Giappone)? La verità è che parlando di imperialismo e dicendosi anti-imperialisti si crea, secondo il più classico dei canoni ideologici, un fantoccio su cui potersi accanire senza correre rischi di smentita (dopo tutto, chi non si direbbe “anti-imperialista” oggi?).
In conclusione, i proclami di antiimperialismo e anticapitalismo oggi hanno precisamente la stessa collocazione esiziale che l’autore giustamente rinfaccia ai proclami “antifascisti”: nominano una tesi storica importante, facendo però riferimento a strumenti concettuali spuntati, triti, impotenti. Precisamente come accade per l’antifascismo, la retorica anticapitalista e anti-imperialista finisce, suo malgrado, per nascondere i problemi, invece che evidenziarli, e perciò, paradossalmente, finisce per fornire aiuto a chi quei problemi non vuole risolvere. I potentati economici mondiali e i loro corifei non possono desiderare un nemico migliore di chi muove loro guerra nel nome dell’”anticapitalismo” e”‘anti-imperialismo”.

 

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