En attendant Pasolini di Ferrara

A pochi giorni dall’uscita nelle sale italiane del nuovo lavoro di Abel Ferrara dedicato alla figura di Pasolini e presentato al Festival del cinema di Venezia, sentiamo l’esigenza di avviare una riflessione critica su alcuni elementi sollevati dall’ultima opera del regista americano; o meglio: in questo primo momento, in attesa della distribuzione nelle sale delle pellicole, avvertiamo la necessità di concentrarci su ciò che il film ha messo in moto nel panorama italiano, sulle varie e decise stroncature che si sono succedute sulle pagine della stampa, sulle accese critiche che si sono alzate in diversi ambienti culturali, al fine di analizzare tale fenomeno e capirne meglio le ragioni. Questo intento ci spinge a soffermarci sulla figura di Pasolini e sull’immagine del poliedrico artista e pensatore che si è imposta e che ci viene proposta da una corposa parte dell’intellighenzia italiana; un’immagine che sembrerebbe particolarmente distante da quella rappresentata da Abel Ferrara, ed è questo, riteniamo, molto probabilmente uno dei motivi principali per cui il film ha suscitato scalpore e accese critiche. Certo, questo scritto non potrà che trovare la sua conclusione in un secondo momento, ovvero dopo la visione del film, durante il quale potremmo entrare più in profondità nell’ultima opera del regista americano. Per ora, dunque, concentriamoci sulla prima fase, proponendo una lettura critica realizzata nell’attesa.
Quello che emerge nelle letture e discussioni sorte a riguardo del film è che al di là delle critiche imputabili alla sfera estetica, la pellicola di Ferrara ha fatto e continua a far discutere soprattutto per la scelta di soffermarsi sulla sfera intima più perturbante di Pasolini, per l’intento di strappare il velo d’ipocrisia che ha celato quella parte più oscura e irrequieta dell’artista, la quale, da parte dello stesso Pasolini, è stata sempre rimarcata con coraggio e spirito iconoclasta. Se Pasolini è stato in vita oggetto di pesanti e continue accuse per le sue scelte di vita, alla sua morte tale carattere del suo essere è stato lentamente messo in oblio, tacitamente nascosto, rendendo in questo modo la figura dell’artista edulcorata ed addomesticata, più accettabile dalla parte perbenista del Paese; una decisa azione dunque di levigatura, smussamento e celamento che ha permesso di proporre Pasolini, senza malumori e atteggiamenti recalcitranti, come uno dei rappresentanti più alti della cultura italiana. La rappresentazione invece, resa dal regista statunitense, di quelle ossessioni, di quella volontà esplicitata da Pasolini di immergersi e confrontarsi con quel lato più violento e degradato insito in ognuno di noi, sta facendo gridare allo scandalo spingendo ad una decisa critica aprioristica nei confronti del film; insulsa e depistante risulta la restituzione delle ultime quarantotto di vita di Pasolini proposta da Ferrara, che rischia di infangare l’immagine di uno degli artisti più profondi che ha incarnato e compreso perfettamente la cultura e l’anima della seconda metà del Novecento, non solo italiano.
Ma è proprio così? È proprio vero che il film di Ferrara incorre nel pericolo di offrirci un’immagine distorta e ad un’unica dimensione dell’artista italiano nel rappresentarlo all’interno di una realtà dove il sesso, il degrado, la perversione risultano predominanti? Oppure proprio questa operazione può riuscire nell’intento di rinnovare l’immagine di Pasolini, o meglio, di ridonarle quel carattere maggiormente complesso e sfaccettato, di inquieto e disturbante fascino, e di farcelo apparire nuovamente proiettato, nella sua apparente inconciliabile contraddittorietà, da un lato verso la luce dell’essere, dall’altro lato verso la sua oscurità più cupa?
L’immagine di Pasolini immerso in una vita di eccessi e trasgressioni, di scelte forti e violente sottrae a questi la sua aura di grande artista e pensatore? O forse proprio tale immagine, che coincide con la realtà dei fatti, dona maggiore forza a Pasolini?
Era proprio l’artista stesso che ne La crocifissione evidenziava l’importanza di “sporgersi ingenui nell’abisso”; proprio lui sottolinea, nell’ultimo verso della poesia, la necessità di “testimoniare lo scandalo”, testimonianza che decide di mettere in atto mediante lo scandalo stesso, mediante la sua personale azione, fino ad esprimere chiaramente nella sua ultima intervista rilasciata ai media francesi – intervista che viene riproposta da Ferrara mediante l’interpretazione e il volto tirato e spigoloso di Willem Dafoe – il “diritto di scandalizzare” e di trarre piacere da questa pratica.
Strana e, nuovamente rimarchiamo, apparente inconciliabile contraddizione: lo scandalo dell’azione riprovevole diviene elemento da riproporre, da rinfacciare, da mettere in mostra, come a ricordare la natura santa e demoniaca dell’uomo, o come ha analizzato Edgar Morin, la natura sia sapiens che demens che vive e combatte dentro di noi; “l’ordine umano comporta il disordine”, osserva il filosofo francese ne Il paradigma perduto, e l’uomo non può che dimostrarsi un “folle-savio”, ed è proprio questo aspetto che Pasolini desidera mettere in luce e ricordare con le sue opere e con la sua vita. E a riguardo ci sembra una coincidenza perfetta il fatto che l’uscita del film di Ferrara, così intento a fare luce sulla parte oscura vissuta da Pasolini, coincida con il 50° anniversario de Il Vangelo secondo Matteo. Quest’ultima opera, osannata dagli uomini di fede e dalla Chiesa stessa, si trova a convivere con la pellicola di Ferrara che ricorda non solo l’abiura di Pasolini alla sua trilogia della vita, ma anche la sua volontà di contrapporre a quest’ultima la trilogia della morte di cui purtroppo è stato realizzato solo il primo momento, costituito da Salò o le 120 giornate di Sodoma, ed rimasto solo in fase di progetto il Porno-Teo-Kolossal di cui Ferrara dà vita e rappresentazione in alcuni momenti del suo film.
Il Vangelo e Salò, dunque, viaggiano in parallelo, facendo così convivere esplicitamente la luce e la tenebra che invadevano l’animo di Pasolini; il furore del nulla nella reinterpretazione di de Sade da parte di Pasolini, si unisce alla forza spirituale del Gesù “tradotto fedelmente in immagini”, come scrive il regista nella sua lettera a Caruso della Pro Civitate Christiana di Assisi.
Questa contrapposizione nella poetica di Pasolini è perfettamente espressa nella sua Medea, nel quale il Centauro, come un alter ego di Pasolini, a cui non a caso rimanda per i tratti somatici, esprime da un lato la sua gioia nel riconoscere che “tutto è santo”, per poi riflettere che “eh sì, tutto è santo, ma la santità è insieme una maledizione. Gli dei che amano – nel tempo stesso – odiano”, fino a giungere nel costatare che “non c’è nessun Dio”.
Non si pensi che tale contrasto in Pasolini sia nato da una presa di coscienza che nel corso del tempo ha variato completamente direzione. No, tale presa di coscienza che lo muove da un lato verso il riconoscimento dell’alta spiritualità e dall’altro verso l’affermazione del nulla, viaggiano in lui da sempre in parallelo. Ed è proprio questo un tratto di Pasolini che risulta di vibrante attualità: l’artista si fa portavoce infatti del profondo travaglio vissuto dall’uomo contemporaneo, nel quale da un lato vivo e pulsante è la componente di homo spiritualis, mentre dall’altro, con l’imporsi del sapere moderno, si è affacciata nel suo animo la perturbante messa in discussione di una dimensione più alta. L’uomo moderno è stato catapultato in una dimensione che disorienta e spaventa; come la marionetta di Oreste, nella “bizzarria” di Anselmo Paleari ne Il fu Mattia Pascal, ci troviamo continuamente davanti al “buco nel cielo di carta” che ci proietta in un sistema di pensiero che mette in crisi ogni nostra certezza e ci fa precipitare in uno stato di nichilismo. Ed è proprio questa condizione ad essere stata resa con grande profondità da Pasolini in una reinterpretazione del passaggio pirandelliano appena citato, reso nel suo mediometraggio Cosa sono le nuvole?, nel quale la marionetta di Iago, interpretata da Totò, e quella di Otello, interpretata da Ninetto Davoli, (eloquente la scelta di sostituire la tragedia greca con la tragedia shakespeariana, portatrice quest’ultima dei valori della modernità), scaraventati in una discarica di rifiuti, rivolgono lo sguardo verso il cielo e rapiti dalla bellezza di ciò che gli appare dinnanzi Totò-Iago esulta a conclusione dl film: “Oh straziante, meravigliosa bellezza del creato!”.
È inconciliabile la contraddizione tra la visione nichilista e quella spirituale? Tra la marionetta dinnanzi al buco nel cielo di carta e il suo meravigliarsi della bellezza del creato? No, non lo è; ed è sempre Morin a ricordarci che è a causa del paradigma di semplificazione che non riusciamo a concepire l’“unidualità”, il dialogo cioè tra realtà distanti, quanto invece il pensiero complesso ci orienterebbe non più a dividere ma a legare, a mettere in dialogo realtà opposte; un forma di pensiero che risulterebbe utile per riuscire ad avvicinarci e tentare di comprendere con più chiarezza la poetica e il profilo biografico di Pasolini.
L’oscurità di Pasolini, su cui Ferrara si sofferma, non adombra dunque la luce dell’artista; semmai riesce a restituire meglio quella componente inquieta e inquietante, sempre esplicitata da Pasolini, che lo caratterizza e senza la quale non si potrebbe cogliere la sua grandezza. Bisogna insomma conoscere e apprezzare di Pasolini la sua complessità con il suo carico perturbante e iconoclasta. Quel carico che ci spinge a riflettere sul nostro essere e su come il nostro lato sapiens riposi sul terreno incerto del demens, su come il savio è turbato continuamente dal folle, e comprendere che il censurare tale caratteristica, nel tentativo di soffocarla e nasconderla, darebbe come esito soltanto il prevalere dell’ignoranza sulla natura umana.
Che questo invito a riprendere Pasolini per far rivivere nella sua completezza il suo messaggio, senza false ipocrisie e perbenismi borghesi, giunga da un autore straniero (di origini in parte italiane) come Abel Ferrara, che ha dimostrato grande capacità di scavare nella profondità nel lato oscuro dell’uomo con opere quali Il cattivo tenente e The Addiction, non deve che farci riflettere e farci apprezzare come risulti vivo, attuale e universale il pensiero e l’opera dell’artista italiano.
Da adesso, dunque, non possiamo che attendere l’uscita del film e vedere quanto e come sia stato capace Ferrara di dare espressione a quell’oscurità che travagliava Pier Paolo Pasolini e lo conduceva verso le sue vette artistiche.

 

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