Il festival di Venezia ci interessa ancora?

Il paragone più calzante è quello con il calcio italiano. Dopo aver vissuto decenni di gloria e aver portato a casa numerose coppe europee e internazionali, le squadre di club (e la nazionale) si trovano all’improvviso impoverite. La nostra serie A non può confrontarsi con la Liga, la Bundesliga e la Premier League, perché – principalmente – i soldi sono altrove. Inoltre, i nouveaux riches che stanno investendo in giro per il mondo non considerano l’Italia un paese appetibile, a causa delle incertezze legislative, della violenza negli stadi, dell’impreparazione del sistema. Sostituiamo Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia a serie A, sostituiamo Cannes, Toronto e Busan ai campionati esteri e ritroviamo le medesime analisi (violenza esclusa, ovviamente).
La colpa non è del comparto artistico: i selezionatori sono critici importanti, stimati, e lavorano (a quanto ci è dato di capire) con relativa libertà. Il direttore Alberto Barbera, sia pure sottoposto a critica per non aver lasciato la carica di Direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino, è cinefilo e organizzatore culturale di provata abilità. E infatti non mancano i buoni film, anzi ne abbiamo visti parecchi quest’anno, anche italiani. Il problema è la concorrenza: gli autori di grido preferiscono andare altrove, e il cinema della grande industria non ha più interesse a passerelle come questa (e inoltre preferisce evitare il pericolo di un passaparola negativo sul futuro incasso del blockbuster di turno).
Questo scenario, tuttavia, apre possibilità sorprendenti. Perduta l’allure, ed è innegabile, si può andare in cerca di altro. Che cosa? Al momento il gruppo dirigente mescola scelte di rincalzo (dovute alla situazione testé esposta) e proposte innovative, anche di nicchia. E cerca di tenere insieme un po’ della tradizione veneziana con lo spirito di un festival indipendente. I cinefili militanti vorrebbero invece una rottura radicale e una svolta sperimentale, ma sinceramente – per quanto la fantasia al potere sia sempre auspicata – non è immaginabile tenere in piedi la baracca e i finanziamenti per offrire poi un programma barricadero.
Dunque, se le star sono altrove, e il sogno di un festival indie-avantgarde è pura utopia, questa aurea mediocritas è l’unica via? Forse è tempo di cedere sovranità critica. Quando il blasone sfiorisce, le idee originali devono provenire da persone giovani e altamente qualificate. Il ricambio generazionale, fardello endemico del Paese, diviene ancora più urgente nell’attività culturale e nel cinema, dove – da un punto di vista persino neuro-cognitivo – l’apertura mentale e la capacità di captare fenomeni innovativi rischiano di irrigidirsi con l’età. Lo diciamo mettendoci in prima persona tra i rottamandi, anche noi poco più che ultraquarantenni. Sarebbe bello toccasse ad altri, under 35 per esempio, sufficientemente freschi di studi, magari già impegnati sul campo nella piccola imprenditoria culturale o negli spazi tanto sbertucciati del web. In quale ruolo operativo, è tutto da vedere. Ci sembra, tuttavia, l’unica soluzione drastica per sparigliare e rovesciare un rituale, una ricezione, un mondo evidentemente affaticati.

 

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