La crisi non è contingente, bensì strutturale, e non ha soluzione dentro i confini dell’attuale quadro politico nazionale. Agendo localmente secondo diverse scale di sovranità la politica non è in grado di governare i processi di globalizzazione in corso. Il mancato governo degli eventi determina un allontanamento dei cittadini dalla politica.
Il capitalismo finanziario comporta un problema di governance strettamente correlato alla crisi della rappresentanza politica. I politici non rappresentano più i cittadini non (o non sempre) per incapacità, bensì per la costitutiva debolezza politica rispetto al potere economico-finanziario. Ciò ci conduce dritti al cuore del problema: il senso stesso della democrazia rispetto alla finanza globale. Oggi tutti ci diciamo democratici, ma il vero problema è: che tipo di democrazia abbiamo in mente? Se la crisi ci ha portato a un forte deficit di democrazia, dobbiamo immaginare una risposta in grado di invertire questa tendenza. I numeri ci rendono intuitivo e chiaro questo problema di “deficit-democratico”: recentemente i giornali hanno riportato la notizia che il patrimonio dei dieci italiani più ricchi è pari a quello di tre milioni di poveri. Fa impressione leggere queste cifre, ma non quanto apprendere che la somma del Pil di tutti i Paesi del pianeta si aggira intorno a 54.000 miliardi di dollari, mentre il totale dei capitali speculativi che passano da una piazza finanziaria a un’altra è circa dieci volte superiore, circa 540.000 miliardi di dollari. La bilancia del potere pende oggettivamente dal versante economico-finanziario: il potere politico inscritto nelle sovranità nazionali ha un peso esiguo, lo squilibrio si è fatto evidente. Non a caso uno slogan di successo recita: «We are the 99%».
Il progetto per una nuova sinistra deve fondarsi su una cultura cosmopolita, il principio è semplice: problemi economici di natura globale richiedono soluzioni politiche di natura globale. Due le idee-guida: Stati Uniti del mondo e democrazia diretta e partecipata. Si tratta certo di idee-guida regolative, ma se non stabiliamo dove vogliamo andare, come e su quale base possiamo trovare i criteri per decidere cosa fare oggi?
Non immagino un “super Stato” mondiale, ma forme di governance globale sì; altrimenti le grandi questioni che oggi affliggono il mondo non possono trovare soluzione: dalle speculazioni finanziarie alla fame nel mondo, dalle guerre ai problemi legati all’ambiente. Nessuno oggi possiede l’autorità politica per prendere decisioni politiche su scala globale e per farle applicare; da ciò il problema di come regolamentare fenomeni per loro natura transnazionali. Una prima osservazione è chiaramente cosa possiamo fare fin tanto che questo scenario non verrà realizzato su scala globale. La vera sfida consiste nel cercare di coniugare i processi di globalizzazione in atto con le istanze locali e territoriali: quanto locale e quanto globale. La cultura riformatrice non può schierarsi semplicemente pro o contro la globalizzazione, deve invece tentare una difficile sintesi sul piano culturale prima ancora che sul piano economico e giuridico. Tale sintesi passa necessariamente attraverso una cultura cosmopolita: l’idea di “Terra-Patria” come bene comune, per usare le parole di Morin.
Anche la seconda idea-guida, la democrazia diretta, comporta un cambio di paradigma. Il principio che si intende affermare è semplice: non delegare tutto ciò che è possibile decidere direttamente. Una simile affermazione non dev’essere fraintesa, né assimilata a una qualsivoglia istanza antipolitica o populista. Sarebbe un errore prendere come pretesto le oggettive difficoltà nell’applicare quest’idea, oggi prematura, del Movimento Cinque Stelle, invece di far proprio il problema avanzando soluzioni e strategie diverse. In Svizzera per esempio già da tempo alcune decisioni vengono prese attraverso forme di partecipazione democratica diretta e non tutte avvengono tramite il web. La forma più avanzata ma oggi ancora astratta di democrazia che riusciamo a immaginare sancisce il pari diritto di ciascuno di essere soggetto politico in grado di decidere e di esercitare direttamente la propria volontà attraverso una progressiva riappropriazione dei poteri attualmente delegati ai rispettivi rappresentanti politici. In prospettiva, si tratta di rendere concreta quest’idea allargando dal basso la base decisionale all’interno dei territori. Tale processo può essere iniziato e sperimentato da subito, a partire dalle piccole realtà, nei piccoli comuni, dentro i partiti ecc. Queste forme di democrazia diretta e partecipata possono – e dovrebbero – essere applicate dov’è possibile, ogniqualvolta è possibile: provocando una forza inversa, non più di allontanamento, ma, potendo partecipare a processi decisionali in prima persona, di riavvicinamento del cittadino alla politica. Le nuove tecnologie possono costituire un elemento utile in tal senso, sebbene esse siano da considerarsi criticamente in quanto sono un mezzo e non il fine della politi- ca. Il vantaggio di questa idea è che può e deve essere applicata gradualmente senza alcun atteggiamento ideologico, ma avendo semplicemente il coraggio di sperimentare anche nuove forme di partecipazione. In modo molto pratico si tratta di tenere ciò che funziona e di scartare ciò che non funziona. Sarebbe un grave errore pensare di poterci liberare di colpo delle forme di rappresentanza politica, oggi ancora necessarie, e questo per almeno tre ragioni: non possediamo una tecnologia adeguata, la natura complessa di alcuni problemi e gli interessi locali-nazionali ancora presenti sul piano internazionale che necessitano diplomazia e non consentono ancora una totale trasparenza decisionale. Sarebbe tuttavia un errore altrettanto grave quello di criticare le forme dirette di partecipazione democratica, al fine di delegittimare e battere un avversario politico, approfittando dei problemi incontrati a livello organizzativo dal Movimento Cinque Stelle. Così facendo, dall’alto della sua posizione di leader, forse qualcuno potrà anche vincere le elezioni. Le sue scelte rappresenteranno però a lungo termine una sconfitta per la politica e per la vita democratica.
Queste idee-guida sono nuove? Relativamente: la prima può essere fatta risalire a Kant, la seconda a Rousseau. È lo sviluppo tecnologico a renderle attuali e attuabili. Queste idee possono stare alla base di un manifesto per una nuova sinistra cosmopolita? L’orizzonte degli Stati Uniti del mondo è la risposta al problema di governance che il capitalismo finanziario ci ha posto dinanzi e alla conseguente crisi di rappresentanza democratica, affrontabile solo attraverso la seconda idea guida: la democrazia diretta. Queste idee-guida vanno intese come due facce della stessa medaglia.
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