Jürgen Habermas: sfera pubblica e tarda modernità.

In Jürgen Habermas, già a partire dalla sua analisi della Oeffentlichkeit (opinione pubblica), risalente al lontano 1962, centrale risulta il concetto e la realtà di sfera pubblica occidentale colta nella dimensione espressiva e comunicativa dei singoli cittadini.
L’occasione per una ricapitolazione di rara chiarezza ed esaustività del pensiero dell’autore di Teoria dell’agire comunicativo è presentata in una coppia recenti e corposi volumi di Antonio De Simone, professore presso l’università di Urbino di storia della filosofia, filosofo della politica e attento studioso delle scienze sociali. Si tratta rispettivamente de Il primo Habermas. Ritratti di pensiero e di Destino moderno. Jürgen Habermas. Il pensiero e la critica, usciti fra 2017 e ’18, a otto mesi di distanza, entrambi per la Morlacchi University Press di Perugia. 

Pensare di riuscire a condensare in mille pagine una sessantina d’anni di riflessione, insegnamento, opere, interventi pubblici non è certo impossibile: ma occorrono una padronanza estrema, una capacità di tenere insieme un lavoro teorico mai sfilacciato o in contraddizione, una tenacia critica rara. Considerando la monumentale opera habermasiana (una cinquantina di volumi) e la grande ricchezza di bibliografia esistente sul filosofo e sociologo di Düsseldorf, almeno quella in lingua italiana, è facilissimo perdersi. 
Ecco dunque la primaria funzione assolta da questi due volumi: fare il punto della situazione sullo sviluppo del pensiero habermasiano, delineandone progressivamente le connessioni con il passaggio dalla modernità alla postmodernità, il collegarsi continuo con figure centrali come i colleghi/maestri della Scuola di Francoforte (a cominciare da Adorno e Horkheimer), il dialogo e confronto serrato con Luhmann, la profonda svolta rappresentata dai due volumi del 1981 sull’agire comunicativo.

La prima parte di una pubblicazione in fondo unitaria come quella di De Simone si concentra sulla fase primigenia della riflessione habermasiana. Se riguardo al pensiero della prima modernità ci si confronta soprattutto con Machiavelli, Hobbes e Vico, riguardo al ‘900 si viaggia in compagnia di Dilthey (in riferimento in particolare a un libro come Conoscenza e interesse apparso in pieno ’68), Freud (continuo il confronto con la psicoanalisi), Gadamer e Ricoeur (entrambi per la fondamentale teoria e prassi ermeneutiche).
Per quanto concerne il secondo volume di De Simone, si segue con attenzione il citato confronto francofortese (il giovane allievo Habermas amato da Adorno, “poco gradito” invece da Horkheimer, distante dall’utopismo di Marcuse). 

Sui temi del soggetto immerso nella modernità disincantata Habermas si trova faccia a faccia con Hegel, Weber e Foucault, mentre la dimensione fortemente normativa che ispira la svolta 1981 si nutre d’intense letture kantiane e rawlsiane. 
Sul fronte della triade potere-società-diritto troviamo poi il volume scritto a quattro mani con Niklas Luhmann, risalente al 1971, dal titolo Prassi politica e teoria critica della società
Particolarmente puntuale risulta poi l’analisi di De Simone di un’opera centrale nell’intera riflessione di Habermas come quella apparsa nel ’73, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo. Il concetto stesso di crisi viene introdotto e reso prezioso (oltreché abbastanza popolare fra studiosi e lettori) proprio da pensatori come Habermas, Claus Offe e James O’Connor – con i quali il primo si confronta frequentemente e lungo tutto l’arco degli anni Settanta. Il terreno d’incontro si trova al crocevia, particolarmente fecondo di concetti e analisi, fra teoria critica e pensiero di Talcott Parsons, analisi neomarxista e crisi della democrazia tardocapitalista. 

Si può dire che concetti come crisi, tardocapitalismo, blocco della democrazia vanno a intrecciarsi in numerosi libri habermasiani precedenti (e in parte successivi) al turning point dell’81. È il decennio assai produttivo in cui Habermas cerca di delineare una teoria politica della crisi, nonchè dello Stato, interrogandosi al contempo sui compiti della sinistra ormai postmarxista (com’è noto, il congresso “rifondativo” della SPD è quello di Bad Godesberg nel ’59). Una teoria politica che si presenta dotata di un forte statuto teorico, come ricorda De Simone.
Rispetto alla Scuola di Francoforte, cui il pensiero habermasiano resta comunque intrecciato, la distanza si misura già nella temperie del Sessantotto: Horkheimer stronca il Movimento Studentesco, Marcuse gli è invece molto vicino, Adorno è ambivalente, Habermas parla addirittura di “fascismo di sinistra” (per poi fare autocritica vent’anni più tardi). Eppure, la critica che quest’ultimo sviluppa sul fronte del capitalismo postmoderno è assai lucida fin verso la fine degli anni Settanta. 

Si tratta, a giudizio dell’autore di Conoscenza e interesse, d’impegnarsi sulla questione di un dominio che non è necessario e non deve esserlo (come nota Carlo Galli): l’Istituto per la ricerca sociale non è in grado di offrire risposta a tale domanda radicale. Scrive De Simone sintetizzando efficacemente la posizione habermasiana: occorre una teoria della società «che sappia mettere in luce il potenziale razionale ed emancipativo presente nella prassi e nell’interazione comunicativa umana quotidiana sapendo che i discorsi (…) producono un potere comunicativo che non può sostituire quello amministrativo ma può soltanto influenzarlo» (De Simone, Destino moderno, p. 104).
In un’indiscutibile situazione di radicale perdita del centro democratico Jürgen Habermas mette al centro del suo lavoro analitico il concetto e la realtà di sfera pubblica occidentale. Essa nasce nella Gran Bretagna del XVIII secolo, per poi estendersi nel successivo: si basa sulla stampa, la trasformazione delle professioni, l’apparire della figura dell’intellettuale, l’affermarsi della forma-Stato, l’emergere e rafforzarsi del moderno spazio politico, l’imporsi della borghesia. 

Una volta chiariti quali sono condizioni storiche, aperture sociali, strumenti di cui si dota, la sfera pubblica è molte realtà e assolve a molteplici funzioni che così De Simone identifica: è precondizione per l’esistere di un mondo comune; vi si può agire tanto individualmente quanto collettivamente; segna il passaggio dalla condizione di privatezza a quella di pubblicità (sia come spazio pubblico che come comunicazione aperta, non più ristretta alle élites); rappresenta uno spazio politico vero e proprio, non coincidente con lo Stato e in continuo dialogo/scontro/sollecitazione con esso (scontro, sia chiaro, non violento); si dota di uno status normativo, facendosi spazio di relazioni di notevole potenzialità; si fa tramite fra sfera privata e società civile, non potendo esistere senza ciascuna di esse.
Habermas sposa una teoria della democrazia fortemente influenzata dai modelli di filosofia politica di Rawls, Dworkin, Apel (collega della seconda Scuola francofortese); alla base vi è la considerazione secondo cui le questioni pratiche sono di natura morale e si decidono a livello razionale. 

Il filosofo e sociologo tardo francofortese supera le visioni hegeliana e marxiana di società civile (Bürgerliche Gesellschaft) deprivandola dell’economia di lavoro e capitale e merci, per inserirvi, piuttosto, chiese e associazioni culturali, accademie e scuole, mass media indipendenti e fori civici, partiti e sindacati. Siamo nell’arco della svolta ricompresa fra la Teoria dell’81 e Fatti e norme del ’92, superando l’opera giovanile del ’62 (si veda la prefazione del ’90). 
Scrive De Simone: «il modello habermasiano di sfera pubblica discorsiva si fonda su un’intuizione normativa originaria fondamentale: il pubblico come discorso razionale e come modalità di formazione discorsiva della volontà» (De Simone, Destino moderno, p. 606). Pensare, discutere, informarsi, studiare, riflettere, dibattere pubblicamente, “farsi sentire” da società e Potere, diventano in tal modo le armi di questa politica essenzialmente deliberativa, esplicando le due funzioni: l’ordinaria di formare opinione e volontà, la straordinaria con la mobilitazione di potenziali di attenzione collettiva.

La sfera pubblica occidentale va dunque pensata come elemento costitutivo di una triade dialettica i cui altri due elementi sono il potere pubblico e la società, ponendosi in contrapposizione con entrambi.
Concludiamo con la questione principale, che resta ancora aperta nel pensiero habermasiano e premettiamo un’osservazione chiara di De Simone. Negli anni ’60 e ’70 il pensatore tedesco condivide la speranza di una società “altra”; mentre nei decenni successivi «ha modificato autocriticamente la sua persuasione e (…) traccia la distanza dal suo approccio» (De Simone, Destino moderno, p. 597). Il potere amministrativo e la volontà formata democraticamente rischiano d’intaccare un sistema economico moderno; mentre il modello di Welfare risulta ormai burocratizzato e giuridicamente sclerotico.

Rimane allora scoperto il fianco alla critica principale: la tanto decantata sfera pubblica occidentale risulta incapace di modificare, riformare il tardo capitalismo (men che mai di poterne fare a meno). Si consideri, infatti, che per Habermas la suddetta sfera risulta colonizzata dagli interessi privati, tanto da affermare che «è il mercato a fare la sfera pubblica» (De Simone, Il primo Habermas, p. 85). 
Ci si deve allora chiedere quale sia l’utilità della seconda se lo strapotere del primo permane pressoché intatto – si pensi soltanto alla questione ambientale o alla mancanza di cambiamenti nel mercato successivi alla crisi del 2008. Come farebbe infatti a passare tale sfera dalla pubblicità manipolata alla vera e propria critica, come sperato dallo stesso Habermas? 

Tale questione di fondo e molte altre ad essa associate costituiscono nodi cruciali di ricerca che possono essere approfonditi, aprendo significativi sentieri di riflessione, con serietà e rigore, attraverso il fluviale e coscienzioso lavoro di Antonio De Simone che restituisce al lettore l’intera cifra del pensiero di Jürgen Habermas quale uno degli ultimi grandi intellettuali della tarda modernità. 


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