L’improvvisazione in musica ha una storia antica, ha attraversato i secoli come prova dell’abilità dei musicisti e come metodo esecutivo, ma solo a partire dall’invenzione del jazz essa diventa una caratteristica strutturale di un genere, il quale ne fa una vera e propria poetica. L’utilizzo delle variazioni sul tema, di spartiti che diventano canovacci, oppure la loro assoluta assenza, in contrasto con la tradizione della musica classica moderna legata invece allo spartito e alla composizione, ha dato quindi stimolo a un nuovo modo di affrontare la tematica anche da un punto di vista filosofico. L’improvvisazione non è creazione di novità assoluta, non crea dal nulla ma nemmeno è semplice interpretazione della traccia: essa si pone in qualche modo all’intersezione fra libertà e norma, fra novità e tradizione assodata e appresa, aprendo uno spazio nel quale è possibile fare qualcosa di diverso eppur relato. Approfondendo e scandagliando le declinazioni dell’improvvisazione e le domande che ad essa sono sottese, l’ultimo Annuario di “Kaiak: a philosophical journey”a cura di Igor Pelgreffi (annuario n.3, Improvvisazione, “Kaiak: a philosophical journey”, Mimesis, Milano-Udine 2018)riesce a restituire al lettore uno strumento importante per comprendere la complessità della tematica in modo interdisciplinare, con la capacità di rendere manifesta la molteplicità degli approcci da cui partire così come dei risultati ai quali giungere. L’improvvisare non è solamente una pratica legata allo studio e all’esecuzione musicale, ma sottende molte e complesse ramificazioni e problematiche di carattere filosofico che richiedono un’analisi approfondita e articolata. Se l’improvvisazione non è semplicemente innovazione assoluta, fondandosi invece su di una trama e su di una legislazione armonica, al contempo in essa è contenuto un elemento di novità estremamente importante. Pensare all’improvvisazione significa, come fa notare Pelgreffi nell’Introduzione al volume, confrontarsi con un oggetto di studi che mantiene un ambivalente rapporto con l’automatismo e con la norma, dai quali è permeato ma da cui al contempo si vuole libero. Se per un filosofo come Adorno, infatti, il metodo dell’improvvisazione jazz non fa che celare la sottomissione alla norma sotto la maschera di una pseudolibertà, in essa cionondimeno è presente un elemento soggettivo e immanente capace di creare momenti irripetibili, nei quali permane una facoltà di variazione creativa, senza la quale non vi è qualità nell’improvvisazione ma solo conformismo. Il tema, di grande interesse filosofico, è dunque quello dello spazio che è possibile ritagliare all’interno della norma, la quale nell’improvvisazione non viene spezzata da un elemento che giunge dal di fuori bensì dalla soggettività stessa. È quindi la capacità di far fronte all’inaspettato attraverso mezzi che sono dati per altri fini, strumenti che sono quindi inadeguati al compito presente ma che al contempo il soggetto riesce ad adattare al momento utilizzandoli mediante la sua facoltà di improvvisazione. Venendo adesso ad alcuni dei contributi raccolti nel volume, nel suo intervento Vincenzo Cuomo fa riferimento al racconto di Poe Discesa nel Maelstrom per mettere a fuoco ciò che può la facoltà di improvvisare: in quel racconto il protagonista, stretto nel vortice del Maelstrom, per salvarsi riesce a guardare a ciò che lo circonda attraverso un’ottica differente; liberando gli oggetti dal loro scopo preordinato, li rilegge alla luce della necessità impellente e attraverso le caratteristiche che in essa vanno a giocare un ruolo importante; così, guardando a un barile riesce a vedere in esso la propria ancora di salvezza e stretto a esso sopravvive alla catastrofe. L’utilizzo adeguato di ciò che è inadeguato, o la reinterpretazione delle norme di utilizzo degli strumenti che ci circondano, divengono quindi per Cuomo paradigmatici per la comprensione di ciò che la nozione di improvvisazione è in grado di apportare allo sviluppo della tecnica e dell’arte. Questa interpretazione ci avvicina allo spirito del viaggio di “Kaiak”, ricordando ciò che il titolo stesso richiama: il kayak è quell’imbarcazione costruita dalle popolazioni eschimesi attraverso l’utilizzo di ciò che viene restituito dalla corrente artica, principalmente legno e ossa, materiali che i saperi tecnici delle popolazioni native hanno imparato a utilizzare per far fronte ai mari gelidi del nord. Molti sono i punti di vista che si confrontano lungo questo numero di “Kaiak”, attraverso una prospettiva interdisciplinare che riesce a far dispiegare la complessità della tematica affrontata. Nella prima parte dell’annuario vengono raccolte tre voci importanti nel panorama filosofico internazionale: Ray Brassier, Jean-Luc Nancy e Slavoj Žižek, i quali affrontano da prospettive differenti il significato dell’improvvisazione, restituendo immediatamente tutta la complessità della tematica. Il testo di Žižek, Improvvisazione leninista, sposta in particolare l’attenzione dalla pratica musicale a quella politica, andando ad indagare se e come possa verificarsi una prassi improvvisativa all’interno di una politica, declinata nel contesto storico. Nella sezione Correnti,dedicata ai contributi contemporanei alla tematica dell’improvvisazione, si confrontano numerosi studiosi. In questa sezione prevale l’ambito musicologico e l’interpretazione della pratica musicale da un punto di vista filosofico, e i contributi di A. Bertinetto, V. Caporaletti, R. Gaglione, D. Goldoni, P. Montani, I. Pelgreffi e F. Vinot vanno in questa direzione ognuno attraverso la propria prospettiva e con riferimenti puntuali alla storia della musica e alle innovazioni più recenti, contribuendo ad approfondire molteplici aspetti profondi della tematica. Il contributo di S. Benvenuto invece sposta l’attenzione in ambito psicanalitico, analizzando la problematica in relazione alla produzione onirica nel pensiero di E. Fachinelli. La parte Derive, dedicata invece ad articoli riferibili al tema ma divergenti in quanto agli ambiti di ricerca, propone un interessante intervento di Prisca Amoroso e Gianluca De Fazio che, a partire dal tema della corporeità in Merleau-Ponty, va a definire nell’ottica del pensatore francese l’improvvisazione come la “possibilità del possibile, segnoontologico che i nostrispazi di libertà non sono se non strutture costantementeabbozzate”. Infine, l’intervento di R. Tessari offre un excursus nella storia della commedia dell’arte, ove la tematica della recitazione “a l’improviso” ha un particolare spazio di importanza sia nella prassi teatrale che nella teoria, dal quale emerge la differenza specifica dei soggetti della commedia dell’arte dovuta alle esigenze delle compagnie teatrali e alla loro capacità di intervenire su di un canovaccio preesistente. In particolare, da questo intervento emerge il contrasto fra una interpretazione positiva dell’improvvisazione come capacità creativa e invece una negativa, entro la quale non è che banalizzazione del testo volta al suo involgarimento. Ciononostante, non è comunque possibile negare l’autonomia di questa pratica e la “forza motrice” della quale si avvale, che pur rimanendo nell’ambito di una pseudo-libertà riesce e nell’utilizzo di moduli preesistenti riesce a dare vita a rappresentazioni autonome.
Recensione di Olmo Nicoletti