Nel corso dell’età contemporanea le scienze umane e bio-mediche hanno progressivamente approfondito la conoscenza del comportamento umano e un campo di ricerca e studio da tempo affermato è quello della psicopatologia, che si occupa di disfunzioni comportamentali dipendenti dagli stati mentali e psichici. Se, però, ci soffermiamo a considerare la condizione delle società complesse negli ultimi decenni, possiamo osservare come molti comportamenti problematici sembrano discendere da particolari contesti sociali, così che oggi possiamo, forse, ormai individuare anche una “sociopatologia della vita quotidiana”. Delineare questa sociopatologia, nella sua fenomenologia, è possibile, in buona misura facendo riferimento ad alcuni contributi della più recente teoria sociologica, che permettono di cogliere in quali aspetti indicativi essa possa concretizzarsi: comunicazione, identità, tempo.
Un primo aspetto di questa ipotesi di una sociopatologia della vita quotidiana si può riscontrare innanzitutto nei contesti di comunicazione determinati dalla società globalizzata; malgrado molte apparenze, la nostra era della comunicazione è anche l’era della solitudine e di una certa problematicità nel costruire relazioni in senso profondo.. La cultura di massa, in effetti, sembra negare la comunicazione proprio mentre la celebra: in qualche modo rappresenta la messa in scena della comunicazione. La grande macchina della comunicazione, attraverso il moltiplicarsi degli strumenti e delle opportunità, ha finito col cambiare l’antropologia delle relazioni, il valore e il peso che si attribuisce ad esse, la profondità, il ritmo spazio-temporale. Facebook e i social network in generale che agiscono in un mondo irreale al nostro posto, la straordinaria diffusione di apparati individuali di riproduzione della realtà, stanno modificando la natura dei contatti affettivi, alimentando manie e ossessioni. Questa comunicazione deviata, mutante, deborda nel vallo che si sta scavando tra generazioni: la trasmissione valoriale è sempre più azzerata dal cambiamento, sostituita da una condivisione dei diritti e dei piaceri, in cui scompaiono senso della misura e autocontrollo consapevole. L’effetto sociopatologico di queste nuove dimensioni comunicative risiede nella condizione di una sorta di “solitudine nella società”, in cui l’isolamento e la superfluità sono, ovviamente, sintomi della società di massa, ma il loro significato autentico non si esaurisce con essa. Questa solitudine nella società porta a una logica perversa, astratta, lontana dall’esperienza, che mina le fondamenta stesse della socialità(si vedano al riguardo le analisi di Bauman, come Bauman, Z., La società individualizzata, il Mulino, Bologna, 2002 e Id., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2000). E, del resto, le distorsioni della comunicazione nella società del tardo capitalismo e le loro conseguenze specifiche e problematiche sull’agire sociale erano già state sottolineate ben prima dell’affermazione delle teorie sulla modernità liquida e sulla società del rischio(si pensi, nello specifico, alle valutazioni di Habermas sulla comunicazione meramente strumentale e manipolatoria, anzichè mirata all’intesa: ad esempio in Habermas, J., Teoria dell’agire comunicativo, 2 voll., Il Mulino, Bologna, 1997).
Un secondo aspetto in cui si manifesta la sociopatologia attuale si può riscontrare nelle problematiche identitarie. Per quanto la questione dell’identità sia ovviamente un aspetto psichico, è indubbio che, negli ultimi decenni, molti problemi di identità siano determinati da particolari contesti sociali, prima sostanzialmente non pensabili. Infatti, l’incompletezza dell’identità, e più in particolare la responsabilità individuale del suo completamento, è in realtà in intimo rapporto con tutti gli altri aspetti della condizione moderna. Ciò che l’idea dell’individualizzazione porta con sé è l’emancipazione dell’individuo dalla determinazione ereditata e innata del suo carattere sociale: una novità che è considerata uno degli aspetti più salienti e influenti della condizione moderna. L’individualizzazione consiste nella trasformazione dell’identità umana da dato a compito e nel fatto che gli attori vengono investiti della responsabilità dell’esecuzione di questo compito e delle conseguenze di tale esecuzione. La modernità sostituisce alla determinazione della collocazione sociale un’obbligatoria autodeterminazione(si vedano Giddens, A., Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994 e Beck, U.- Giddens, A.-Lash, S., Modernizzazione riflessiva, Asterios, Trieste, 1999). La principale delle preoccupazioni non è quella di trovar posto all’interno della solida struttura della classe o della categoria sociale, ciò che preoccupa è invece il sospetto che questa struttura faticosamente conquistata possa venire repentinamente dissolta. L’identità deve l’attenzione che suscita al fatto di essere un surrogato della comunità, che è sempre più difficile determinare nel mondo privatizzato, individualizzato e in via di globalizzazione, e che può essere immaginata come un rifugio accogliente che infonde sicurezza e fiducia. Forse, invece di parlare di identità, ereditate o acquistate, sarebbe più adeguato alla realtà del mondo globalizzato parlare di identificazione, di un’attività, cioè, sempre incompleta e aperta, cui tutti ci dedichiamo per necessità o per scelta(si veda Sennett, R., L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 2001) e che comporta stress e dubbi.
Un terzo ambito emblematico in cui può ravvisare una sociopatologia è legato all’alterazione dei tempi esistenziali e vitali garantiti dalla modernità, che può comportare situazioni di disagio e ambivalenza(si veda Augè, M.,Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo, Eleuthera, Milano, 2009). Nella società contemporanea si verifica, infatti, tra le altre cose, la dilatazione smisurata del tempo dell’adolescenza da cui deriva un crescente ritardo nelle scelte di vita. Non è un caso che la scelta della genitorialità avvenga sempre più tardi, sia spesso limitata ad un solo figlio e, in molti casi, prevalga la rinuncia. Si pensi, inoltre, alla scelta del matrimonio: tuttora resta spesso confermato, nel mondo occidentale, un abbassamento dei tassi di nuzialità. Il contesto sociale che produce un prolungamento dell’adolescenza e l’affermarsi di una fascia di età che si dilata sempre più verso l’età adulta, senza tuttavia essere tale, contribuisce a creare una condizione giovanile che vive l’esistenza in una dimensione di incertezza. E tale incertezza riguarda non soltanto il futuro, ma anche il presente. Tutto ciò evoca l’immagine della dipendenza, dell’incompiutezza di individui cronologicamente adulti, e tuttavia ancora alle prese con compiti di sviluppo(si veda Furedi, F., Il nuovo conformismo, Feltrinelli, Milano, 2005).
Ovviamente, questi contesti, che abbiamo solo sinteticamente considerato, non esauriscono il discorso che abbiamo cercato di proporre sull’idea di una sociopatologia della vita quotidiana, costituiscono semplicemente dei possibili punti di riferimento, tratti dalle riflessioni che i maggiori sociologi contemporanei da tempo stanno proponendo, cui possono collegarsi altre dimensioni. Altrettanto evidentemente, dobbiamo poi riscontrare che i disagi personali derivanti dai contesti sociali, quali i malesseri costituiti da fenomeni come stress, mobbing, burnout, esaurimenti psico-fisici, aggressività, non possono portarci a credere, attraverso letture troppo immediate, che essi derivino sempre e esclusivamente dalle evoluzioni delle società moderne e globalizzate: non è certo il caso di rimpiangere o desiderare tempi passati del mondo medioevale o classico, idealizzandoli ingenuamente. Dobbiamo, tuttavia, avere l’accortezza di riconoscere che la società contemporanea è spesso una società smarrita, attraversata da paure, crisi, ossessioni, insicurezze politiche(si vedano indicativamente le letture critiche di D’Alessandro, La società smarrita, Angeli, Milano, 2010 e Gallino, L., La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari, 2012) e, certamente, molte analisi sociologiche contemporanee non smettono di portare alla luce i problemi che abbiamo accennato: per questo, su tali punti sembra opportuno soffermarsi con attenzione, senza demonizzare oltremodo il mondo della modernità, ma anche senza mai dimenticare il suo potenziale sempre aporetico e ambiguo, il suo essere pharmakon, ossia, indissolubilmente, cura e veleno. La sociopatologia della vita quotidiana, allora, non sarà un destino ineluttabile, ma, evidentemente, un rischio sempre pronto a suscitarsi, quando si perdono il senso critico e il senso storico, e l’ombra nera dell’incoscienza si stende lugubre sul mondo liquido.