Judith Butler. Fare e disfare il genere

 

Undoing Gender (2004) è il testo della filosofa americana Judith Butler, pubblicato da Mimesis LGBTI, con il titolo Fare e disfare il genere (2014), a cura di Federico Zappino. Questa seconda traduzione in italiano del testo di Butler pone brillantemente in risalto il movimento, fare e disfare, di continua messa in crisi e rielaborazione del genere auspicata da Butler,mentre la prima traduzione in italiano, edita da Meltemi nel 2006, a cura di Olivia Guaraldo aveva optato per il titolo, più fedele all’originale, La disfatta del genere. Fare e disfare il genere ripropone comunque al lettore la prefazione di Guaraldo, presente nell’edizione del 2006, probabilmente per fornire più punti di appoggio al lettore per affrontare il testo butleriano.

I saggi che compongono il testo, benché varino per argomento e per anno di realizzazione, possono essere collegati tra di loro attraverso la discussione e critica, che Butler avanza, circa le norme restrittive e violente in riferimento al genere e alla sessualità e, anche, attraverso la discussione di cosa significhi venir disfatti.

Per Butler: infatti, la norma/sistema genere attraverso la ripetizione di atti ed enunciati performativi riesce ad imporre il “binarismo maschile e femminile”, nel senso che i corpi prenderanno, appunto, forma in quanto sessuati all’interno di tale sistema. Tutti coloro i quali, non si conformano a tale binarismo, ad esempio intersessuali e transessuali, verranno etichettati come “abietti” e considerati il “meno che umano”. Butler quindi discute il problema dell’umano al fine di far emergere come, all’interno del paradigma imperante, ci sono corpi e vite considerati umani e quindi protetti e sostenuti, mentre altri corpi verranno esposti alle violenze in quanto queste vite non sono considerate “degne di lutto” dal momento che, a perire in quel caso è solo ciò che viene considerato il “meno che umano”. Attraverso tali nuclei concettuali emerge quindi come la norma di genere agisca in modo restrittivo e violento dal momento che riconosce, come esseri umani e vite umane, solo chi si conforma al paradigma imperante e chi non incarna la norma viene, invece, rigettato come “abietto”. Tuttavia, ad avviso di Butler, la cornice normativa che regola il riconoscimento è indispensabile dal momento che: «il senso della mia possibilità dev’essere concepito fuori da me.» (Fare e disfare il genere, p. 72). Per Butler infatti, che propone una nozione di soggettività ex-statica, fuori di sé e dipendente dalla cornice normativa, regolante l’intelligibilità all’interno della sfera del sociale, non si può sopravvivere senza norme atte a riconoscerci. Tuttavia se non è possibile sbarazzarsene, questa può essere criticata, messa in crisi poiché è tale cornice a rendere precarie, vulnerabili e non sopportabili, quelle vite che non sono conformi alla complementarietà tra maschile e femminile, ad esempio di gay e lesbiche. Per Butler è indispensabile mantenere un atteggiamento critico e trasformativo nei confronti della cornice normativa, al fine di poter dare “possibilità” a chi fino ad ora è stato posto a margine dell’umano. Tale messa in discussione e operazione critica potrà portare ad una perdita di senso, uno stato di spossessamento, e questo è propriamente quello che significa venir disfatti. Questo movimento di critica però potrà portare all’allargamento dal cerchio del reale, e a far fiorire possibilità che fino a prima erano state rigettate dal paradigma imperante che imponeva rigidamente il binarismo e la complementarietà tra il maschile ed il femminile. Per Butler è essenziale dunque essere continuamente fatti e disfatti senza sapere dove tale processo potrà portarci, vale a dire resistere al tentativo di definire “l’intero spettro dell’umano” dalla propria posizione, che nella maggior parte dei casi è americana o eurocentrica, al fine di non produrre più il “non umano” sofferente. Per riuscire a realizzare questa messa in discussione della cornice normativa, ad avviso della filosofa, occorre porre in risalto quanto le nostre vite siano relate e precarie e i nostri corpi vulnerabili, poiché dipendiamo sia dalla cornice normativa che dalle relazioni con gli altri. Per Butler quindi la vulnerabilità e la precarietà sono condizioni condivise e non un fardello che devono assumersi solo coloro i quali non sono “degni di lutto” e considerati “abietti”.

Occorre tuttavia specificare quanto, ad avviso di Butler, le vite non siano rese precarie solo in riferimento all’asse del genere. Non a caso nel 2004 Butler scrive Precarious Life, tradotto in Vite precarie (2013), edito da Postmedia, a cura di Olivia Guaraldo, dove Butler discute il processo di disumanizzazione che subisce, ad esempio, la popolazione irachena da parte del governo statunitense, al fine di giustificarne l’intervento militare. La filosofa è quindi ben conscia del fatto che i corpi, così come le vite, possano essere etichettai come “non umani” in riferimento a più assi del potere. In Fare e disfare il genere la filosofa decide invece di concentrarsi sulle norme di genere in quanto ne riconosce una specificità, ma non un primato ontologico.

La pubblicazione, a distanza di dieci anni dal testo originale, rende ancora quanto, come sostiene Butler, il genere, messo al centro di questo continuo fare e disfare, rimane un spazio di crisi e trasformazione. Come sottolinea Zappino, circa i nuclei concettuali di crisi e precarietà, occorre: «prendere sul serio queste parole – per percorrerle fino in fondo, fino a sorprenderle come luoghi di possibilità, di resistenza e di trasformazione sociale.» (Fare e disfare il genere, p. 356)

Il genere quindi ancora come spazio da cui riuscire ad articolare, sempre ed ancora, una trasformazione sociale che possa evitare che ad essere rese precarie siano esclusivamente le vite di chi non è conforme al paradigma egemone.

di Magda Faoro, dottoranda

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