Da Maranello a Cinecittà

Prima tappa – Ferrari World, Abu Dhabi
Poco meno di un anno fa ho avuto occasione di visitare il Ferrari World di Abu Dhabi. Come per il calcio, anche per la F1 le mie competenze non sono che l’eredità sbiadita e un po’ confusa delle passioni paterne, e dunque non era tanto la Ferrari in sé a interessarmi. Ero curiosa, soprattutto, di vedere come il marchio Ferrari venisse raccontato, come il marchio diventasse un mondo e che tipo di esperienza di questo “marchio-mondo” fosse stata concepita.
Il racconto del Ferrari world, pur nella sua chiave enfatica priva di qualsiasi sfumatura, mi è parso del tutto convincente o, quanto meno, perfettamente aderente all’immagine di sé che la Ferrari intende proiettare. L’innovazione tecnologica costante, esibita sia come oggetto di esposizione (i motori) che come modalità di esposizione (le installazioni immersive), garantisce al marchio il senso della rottura, della discontinuità, dello slancio verso il futuro, del superamento dei limiti; il sapere di sapore artigianale conservato a Maranello, messo in scena nelle multimedia rides (in cui il cinema, o le immagini in movimento, giocano un ruolo essenziale e quasi trionfale, verrebbe da dire), permette di innestare la discontinuità su uno sfondo di continuità solido, su una tradizione radicata, coltivata, custodita; intorno alla figura di Enzo Ferrari si evoca il sogno, il desiderio di riscatto dell’Italia del dopoguerra, si costruisce il mito di un self-made man all’italiana, fatto di genialità e creatività, e dalla retorica del successo di Ferrari si prosegue facilmente verso la retorica del successo dei grandi piloti della scuderia.
Fatte salve la retorica e l’enfasi che contraddistinguono l’esperienza del Ferrari World, la percezione dell’efficacia della narrazione si basa almeno su due premesse. Il marchio Ferrari è un marchio vivo, attivo nell’immaginario, e il successo del marchio è un successo che si origina nel passato ma prosegue nel presente (e nonostante i recenti cambi al vertice). Inoltre, il Ferrari World accoglie i suoi appassionati visitatori non a Maranello ma ad Abu Dhabi, e dunque in un contesto che ben si adatta (pur tra enormi contraddizioni) ad un atteggiamento visionario e, soprattutto, in un mercato di clienti e investitori attuali e potenziali.
Resta, certo, una domanda: che senso e che valore attribuiremmo, al Ferrari World, se invece che negli Emirati Arabi fosse stato costruito in Italia?

Seconda tappa – Cinecittà World, Roma
Il 24 luglio ha aperto al pubblico il primo grande parco a tema dedicato al cinema in Italia, Cinecittà World, con un investimento iniziale di 250 milioni e la previsione di un fatturato annuo di 55 milioni di euro.
I resoconti della stampa nazionale appaiono tutto sommati allineati, benevoli ma poco appassionati, e si affidano a quella forza evocativa che una rosa di nomi noti, da sola, è in grado ancora di attivare: da Fellini a Rossellini, da Leone a Morricone, passando per Dante Ferretti, che del parco ha effettivamente curato le scenografie.
Poche, sembrano, le voci dissonanti, come quella di Angelo Zaccone Teodosi su key4biz: «La vera Cinecittà è sostanzialmente morta, e se ne costruisce una… di plastica paradossalmente laddove sorgevano gli “studios” di Dinocittà […], la “competitor” di Cinecittà negli anni d’oro del cinema italiano». E ancora: «Quel che stupisce è che, fatta salva qualche rara eccezione, la morte della Cinecittà reale […] e la nascita della Cinecittà virtuale […], fenomeni che si sviluppano in surreale contemporaneità, vengono registrati dalla stampa, dai media, dalle istituzioni, dai politici… come se nulla fosse. Il “naturale” corso delle cose?!».
In effetti, il contrasto è stridente. Dicevamo prima che vitalità del marchio nell’immaginario contemporaneo e radicamento in un contesto economicamente “credibile” costituiscono premesse fondamentali per aderire alla narrazione del brand Ferrari. E proprio al brand Ferrari fa riferimento, sul New York Times, Elisabetta Povoledo, che, riprendendo Christian De Sica, ricorda come registi quali Fellini e Rossellini abbiano reso Cinecittà “una delle cose per cui l’Italia è conosciuta”, al pari della Ferrari o di Armani… Eh no, vorremmo rispondere! Ferrari e Armani sono marchi che coniugano solida tradizione e innovazione, passato e presente, e che è “credibile” proiettare nel futuro; Cinecittà è un marchio interamente sbilanciato sulla tradizione e sul passato. Sta proprio qui il problema: non tanto nelle implicazioni etiche di brandizzare Cinecittà, ma nella discutibile efficacia di una strategia che non può certo essere paragonata a quella della Ferrari, e tanto meno a quelle di Disneyworld o del Wizarding World of Harry Potter.
Ma c’è di più. Leggiamo su Indiewire, in un articolo che fin dal titolo (“How a Legendary Film Studio Became a Ridiculous Theme Park”), non lascia adito a dubbi: «Il mese scorso, Cinecittà ha ufficialmente aperto al pubblico. Con gli splendori di un tempo ora ridotti a sbiaditi ricordi, il leggendario studio non aveva evidentemente altra scelta se non quella di diventare la parodia di se stesso». Fin qui, nulla di nuovo. Ma l’articolo prosegue con una spietata analisi della stagnazione del cinema italiano contemporaneo, che non risparmia nessuno: da un lato, il record d’incassi nazionale (Zalone) appare un film che, dichiaratamente, non ha alcuna attrattiva in un mercato internazionale, dall’altro, i registi che ottengono riscontri all’estero (Sorrentino e Garrone) si comportano un po’ come Cinecittà, crogiolandosi nella decadenza grottesca di un passato glorioso.
La conclusione è categorica: «Mentre le porte del paese rimangono chiuse alle nuove idee, quelle di Cinecittà World hanno appena aperto. È probabile che chiunque sia interessato al cinema italiano possa trovare risposte più precise in questo parco a tema che in qualsiasi sala cinematografica».

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